mercoledì 11 gennaio 2012

Titus - Recensione

Titus di Julie Taymor – Genere: drammatico/storico/teatrale – Regno Unito, Italia, USA 1999
Tito Andronico, generale romano, torna vittorioso in città dopo aver sconfitto i Goti della Regina Tamora, la quale viene condotta come schiava nella capitale. Lì, dopo aver affascinato il neo-imperatore Saturnino, assurgerà al rango di Imperatrice e metterà in scena una crudele vendetta nei confronti degli Andronici, colpevoli di avere ucciso uno dei suoi figli.
Re-interpretazione postmoderna del Titus Andronicus di William Shakespeare, il film è un concetrato ibrido che oscilla continuamente fra innovazione e intertestualità con la tradizione. Riprendendo in modo pressoché esatto la vicenda narrata dal drammaturgo e poeta inglese, la pellicola re-inventa la tragedia di vendetta messa in scena negli atit del dramma in chiave contemporanea. Sarà quindi una Roma, la nostra, dove troveremo a convivere in maniera pressoché perfetta la figura tradizionale del generale romano (Andronico – Hopkins) e, per esempio, l’esistenza delle automobili.
La sceneggiatura segue fedelmente, salvo qualche spostamento delle vicende, gli eventi narrati nei cinque atti, e anche i dialoghi sono ripresi fedelmente dalla tragedia creando – per altro – un piacevole effetto estetico “straniante” dato dal contrasto fra la modernità (relativa) della presentazione scenografica e il tono epico-arcaizzante dei dialoghi. Nonostante questo le relazioni dialoghiche fra i personaggi sono ben strutturate, credibili e comunque coerenti con sè stesse.
La fotografia è molto buona e mette in scena in maniera impietosa, proprio come Shakespeare voleva (questa è la tragedia più cruenta del drammaturgo, oltre ad essere la prima), lo spettacolo della distruzione del Corpo inteso sia in senso fisico (menomazioni, antropofagia, omicidi etc.) che in sesno ideologico (lo sfacelo del corpo familiare è alla base della Tragedia di Vendetta ordita da Tamora). La colonna sonora è essenziale, asciutta ma al tempo stesso epica; conferisce alla scena una solennità discreta, ma non per questo meno imponente.
I personaggi, in ultimo, sono molto ben caratterizzati: riprendono le personalità concepite da Shakespeare ma, senza ricadere nello stereotipo, le arrichiscono di nuove sfumature date dalla componente un po’ “pop” del post-moderno filmico. I personaggi quindi non sembrano essere stati scritti cinquecento anni fa: mantengono inalterato il loro carattere marmoreo ma riescono a muoversi bene nell’ambiente sfaccettato e nuovo che Julie Taymour ha saggiamente scelto per riproporre un dramma shakespereano troppo spesso dimenticato o bistratto dalla storiografia anteriore.
Il lavoro della regista è apprezzabilissimo e consiste in una vera e propria archeologia del teatro di Shakespeare, non in modo astratto e un po’ romantico come viene fatto di solito; quello che Taymour fa è cercare il vero teatro del poeta e metterlo in scena in chiave contemporanea, ma in un modo non troppo diverso da quello che doveva essere l’intento dell’autore
VOTO: 8/10
Il film in una frase: “Se mai ho commesso una sola buona azione in tutta la mia vita, me ne pento dal profondo dell’anima”

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