mercoledì 11 gennaio 2012

L'arco - Recensione

L’arco - Genere: drammatico – Corea del Sud, 2005
Su una piccola imbarcazione da pesca vivono un vecchio pescatore e una giovane ragazzina, trovata dal vecchio ancora in tenera età e da allora da lui premurosamente allevata in attesa dell’età giusta per poterla sposare. I due si mantengono grazie ai pagamenti versati da gruppi di pescatori che spesso si recano sulla loro barca. Per dimostrare il suo amore alla ragazza, l’anziano pescatore la difende dai “clienti” molesti e la solidità della loro unione è comprovata da una particolare tecnica di predire il futuro. Le cose inizieranno a cambiare quando sulla barca arriverà un giovane ragazzo, che affascinerà molto la nostra giovane protagonista.
Spesso si dice che da un buon libro di dovrebbe trarre un ottimo film. In questo caso credo che questo film sarebbe anche un ottimo romanzo. Direttamente dalla Corea ci arriva una pellicola tecnicamente impeccabile e contenutisticamente particolarmente ricca. La storia è relativamente semplice ma non per questo non meritevole: l’ho trovata particolarmente originale e piacevole. Un racconto non scontato che si sviluppa solo con l’azione e senza la necessità di parole. Infatti il film è contraddistinto dai silenzi, lunghissimi ma mai spiacevoli. E’ un film delle evocazioni più che delle azioni. I nostri protagonisti agiscono, ma non parlano mai. Soltanto i pescatori che vengono invitati sulla barca si lasciano scappare qualche parola ma sono zittiti dal veloce saettare delle frecce scoccate dal vecchio.
L’arco è davvero il protagonista di questo film e – quasi – diventa un personaggio aggiuntivo. E’ dall’arco che ci arrivano le più suggestive e affascinanti evocazioni musicali di una pellicola che, bandendo quasi il dialogo, si sorregge egregiamente su delle melodie evanescenti ed evocative, sempre azzeccatissime. E’ con l’arco che i due protagonisti predicono il futuro a chi lo richiede loro, lasciando sempre nel massimo segreto il responso (vengono fatte tre previsioni ma di nessuna sappiamo il responso, che viene comunicato solo al diretto interessato). E’ l’arco che garantisce l’integrità del nucleo abitativo sulla barca ed è infine l’arco a regalarci una delle scene più dannatamente geniali che io abbia mai visto (ma che, essendo collocata alla fine, non voglio rivelare).
Gli spazi di sviluppo dell’azione narrativa sono ben definiti e bipolari: da una parte la barca, piccolo mondo in miniatura che però si dirama in una serie di ambienti diversi, quasi come se le porte e i passaggi fossero infiniti; un luogo labirintico dove solo gli esperti abitanti dell’imbarcazione sanno muoversi. Dall’altra parte abbiamo gli sconfinati e anonimi spazi del mare sterminato, ma non per questo meno affascinanti; anzi. E’ proprio al mare che il vecchio pescatore (come insegna il buon Hemingway) tornerà nel momento della sua sparizione, dopo aver scoccato l’ultima decivisva freccia. Il tutto poi è reso con una fotografia di altissimo livello e la recitazione è (doverosamente, visto che non ci si aiuta con le parole) fondata sugli sguardi e sull’espressività del volto. Bellissima!
Un lavoro particolare, forse non apprezzabile da tutti ma non per questo meno avanguardistico. Un film che onestamente mi ha catturato e affascinato particolarmente, come raramente mi è accaduto. Poi si sa, la mia passione sono i collegamenti fra cinema e letteratura e questo è un film a mio parere molto pascoliano, sotto certi aspetti; un film delle piccole cose. O meglio, un grande film delle piccole cose. Stando alla mia memoria, che è risalita a tutti i bei film che ho visto in questi anni, si tratta probabilmente del migliore film che io abbia mai visto.
VOTO: 10/10

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