mercoledì 11 gennaio 2012

The elephant man - Recensione

The elephant man di David Lynch – Genere: biografico/drammatico - Regno Unito/USA 1980
Jhon Merrick è un uomo profondamente sfigurato dalla malattia che, per vivere, si “esibisce” in spettacoli organizzati dall’uomo presso cui vive. Il Dottor Treves, affascinato dal suo caso, decide di portarlo in ospedale cercando di fargli riconquistare la sua perduta umanità.
Tratto dal libro The Elephant Man and Other Reminiscences di F. Treves, il fim di Lynch è biografico, e liberamente adattato da una storia vera. E’ vero il caso del giovane (neanche trentenne) Joseph Merrick (Jhon nel film), terribilmente sfigurato e costretto ad esibirsi in freak shows. Lynch però non attua una pedissequa contemplazione del testo del medico ma ne evidenzia le contraddizioni, mostrandoci impietosamente luci ed ombre del caso. Il lavoro di Lynch è complesso e sarà il caso di andare con ordine.
Anzitutto bisogna dire che ancora nell’Ottocento, in inghilterra come altrove erano piuttosto comuni gli spettacoli dei freaks, uomini più o meno mostruosi. Si trattava di spettacoli che potevano svolgersi anche in appositi locali vuoti in cui una sorta di figura capocomicale presentava lo spettacolo che, di per sé, consisteva solo nella contemplazione del mostruoso, in un tipo di atteggiamento che già Burke o Kant non avrebbero avuto problemi a definire “sublime”. Fra i freaks che avremmo potuto ammirare si potevano annoverare nani, giganti, uomini particolarmente pelosi, gemelli siamesi, uomini deformi, fino all’emblematico caso della “Venere Ottentotta” (cui recentemente è stato dedicato il film Venere Nera). Tutte queste categorie mostruose furono portate nel cinematografo già negli anni ’20, con il capolavoro Freaks.
La trama narrativa è lineare, ma comunque molto articolata. La densità di eventi in relazione al tempo della pellicola è veramente elevata e – in ogni caso – il lavoro non risulta mai pesante o noioso: riesce a catturare lo spettatore in un modo morboso e sublime, proprio come se stessimo assistendo a un freak show. Lynch sceglie di girare il film in bianco e nero e la trovo una scelta molto indovinata: il b/n necessita di un maggiore impegno intellettuale per essere capito rispetto al colore, appiana i grigi per mettere in evidenza i toni forti del bianco e del nero. La fotografia è di ottima qualità e in questo campo vanno notati almeno alcuni escamotages lynchiani di alto impatto: (1) la scelta di non mostrare subito J.Merrick ma di farcelo prima vedere con gli occhi e le espressioni degli altri; (2): il bellissimo primo piano fatto su Treves nel momento del suo primo incontro con Merrick e la lista potrebbe essere ancora lunga… Merita una menzione speciale, oltre al protagonista Jhon Hurt, la splendida prova di Antony Hopkins che coglie in pieno la volontà lynchiana di mettere in evidenza Treves come un personaggio a tutto tondo, in un susseguirsi continuo di altruismo ed egoismo.
L’opera di Lynch è una meravigliosa ricognizione sul corpo. Meglio ancora, è una riuscitissima dimostrazione di quanto il corpo sia un costrutto artificiale, plasmabile dagli altri oltre che da noi (emblematica in questo senso la scena dell’aula universitaria…). Un altro aspetto interessante del film è l’ambguità di fondo che ci lascia circa la bontà di Treves: davvero il dottore voleva aiutare Merrick? Non è forse corretto almeno sospettare che il suo aiuto fosse interessato, che fosse subordinato all’aver fiutato una buona occasione accademica? E infine una nota sul concetto di umanità come traspare dal film: la categoria di umanità è artificiale tanto quanto il corpo. Merrick è umano e lo dimostra con due atti sostanziali: la costruzione di una cattedrale (non a caso, luogo topico del mostruoso) e, soprattutto, alla fine del film.
Uno splendido e complesso progetto narratologico coniato da Lynch, che ci mostra come sia possibile a partire da un testo già esistente, crearne un altro sostanzialmente più ricco, pur mantenendone lo spirito.
VOTO: 9/10
Il film in una frase: “La gente ha paura di quello che non riesce a capire”

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