mercoledì 11 gennaio 2012

Les amours imaginaries - Recensione

Les amours imaginaries (tit. internazionale Heartbeats) di Xavier Dolan – Genere: drammatico – Canada, 2010
Un ragazzo e una ragazza, amici da tempo si innamorano dello stesso ragazzo. La loro ossessione diventerà sempre più importante, tanto che a un certo punto non potranno più fare a meno di lui.
Avevamo lasciato Xavier Dolan in preda ai complessi di Edipo in Ho ucciso mia madre e lo ritroviamo qui, cambiato ma non troppo, in questo nuovo esuberante e sorprendente Gli amori immaginari. Dolan dipinge a tinte forti e implicitamente fosche la discesa negli inferi della psiche (di nuovo!) ma non più in manienra pericolosamente antifamiliare come in J’ai tué. Il giovane regista e attore canadese questa volta si avvale della patina edulcorante del vintage e di un certo stile pseudo-indie per accompagnarci in un’altra, stroboscopica galoppata nell’Averno dei sentimenti. Gli amori immaginari sono una costante della vita, di quando in metropolitana ci infatuiamo a prima vista di una persona, di quando coltiviamo in silenzio passioni segrete per anni e poi siamo costretti ad abbandonarle, di quando aspettiamo morbosamente telefonate, lettere o segni che (lo sappiamo benissimo) non arriveranno mai.
E’ triste il racconto di Dolan, intimistico e straordinariamente vitale. Vitale perchè foriero di attuali interpretazioni, ma al tempo stesso profondamente sconsolante. Un elogio funebre ai sentimenti, destinati ad essere macinati nel tritacarne dell’ambiguità, di quella che ti fa soffrire di notte attanagliandoti con mille e più dubbi. Con una fotografia accurata ancorché un po’ incerta, sezioniamo il cuore dei nostri tre protagonisti, sperando e vivendo con loro realtà e ipocrisie che noi tutti abbiamo provato. Dolan non delude né come regista, bellissime le inserzioni non meglio definite di quelle vittime d’amore che cercano di disintossicarsi, né come attore. Il suo fascino ammaliante conquista lo spettatore e ci dimostra che si tratta di un individuo dalle elevatissime potenzialità.
La musica è scelta con attenzione e sempre accuratamente calibrata, con uno squisito gioco di violini ad accompagnare l’evolversi di questa nevrosi sentimentale. Una nota ulteriore va fatta per la scelta di inserire il brano Bang bang nella versione meno conosciuta di Dalida. Una scelta decisamente azzeccata, che dimsotra un bagaglio culturale molto importante per un artista ancora così giovane ma evidentemente così meritevole.
Un racconto tragico e attuale sull’amore inteso come sentimento, come forza distruttiva (tema ricorrente anche in letteratura dallo Stilnovo in poi), come energia folle che acceca e comanda, come sogno e come immaginazione. Una riflessione sullo statuto ontologico di un sentimento troppo spesso invocato senza conoscerne il potere, un demone troppo pericoloso per essere cercato nel momento sbagliato (a rischio di collezionare delusioni come il personaggio del povero Dolan!). Un salto in avanti rispetto al già riuscito J’ai tué ma mère, che porta Dolan a un livello ulteriore. Stiamo a vedere che cosa saprà fare anche se personalmente vedo ancora una mancanza di carica eversiva, di spinta all’osare che potrebbe renderlo un vero genio visionario del cinema occidentale (p.e. se si fa una scena con connotazioni sessuali – e qui ce n’è una bella forte – mostriamola! Osare è un obbligo, per chi può farlo come Dolan).
Un candidato ad essere uno dei miei film preferiti
VOTO: 8/10

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