mercoledì 11 gennaio 2012

Dogville - Recensione

Dogville di Lars Von Trier – Genere: drammatico – Danimarca/Francia/Norvegia/Svezia, 2003
Negli anni trenta, una donna braccata da malfattori ripara in un villaggio di campagna. Quando la popolazione locale viene a conoscenza di un avviso di ricerca contro la fuggitiva, il clima diventa teso…
Primo episodio della trilogia “USA-Terra delle opportunità” messa in cantiere da Lars Von Trier con questo titolo e non ancora terminata, a quasi dieci anni di distanza. Von Trier, regista eclettico e già apprezzato in questa sede per altri titoli (come Antichrist, 8.50/10) raggiunge uno dei più alti gradi di sperimentalismo che io abbia mai potuto vedere in un film. Va detto subito che, effettivamente, non sono un grande consumatore di cinema undergound-sperimentale ma, per un titolo ad ampia distribuzione, si tratta di uno dei risultati più interessanti e avanguardistici che abbia potuto vedere; tanto basterebbe per dire la qualità dell’Opera.
Opera con la “o” maiuscola perchè con una estrema semplicità concettuale, il regista riesce a mettere in piedi un credibilissimo (ma al tempo stesso microscopico) affresco umano, così veritiero e realistico da far male. Opera anche per la mole del film in sé, che supera le due ore anche nella versione cinematografica italiana, più breve dell’originale. Lunghezza mastodontica, si può dire, che però non ho trovato assolutamente stancante: la storia fluisce con interesse e l’evolversi della narrazione assume un ritmo perfettamente calibrato sul totale del tempo filmico, raggiungendo un perfetto equilibrio fra densità di eventi e lunghezza della pellicola.
L’impostazione scenografica è assolutamente originale e di grande impatto: la cittadina di Dogville è rappresentata come un grande allestimento teatrale, con case senza muri che ci lasciano la possibilità di vedere in potenza quello che succede contemporaneamente in tutte le parti della piccola cittadina. Il tutto è accompagnato da una voce narrante sempre presente, che accompagna lo spettatore/ascoltatore nello sfogliarsi progrssivo delle ipocrisie degli abitanti. Splendida la scelta per la voce italiana di Giorgio Albertazzi (Jhon Hurt nella versione originale), così come è molto buona la performance del cast in generale, su cui spicca particolarmente la figura di Nicole Kidman, assolutamente splendida nella sua debolezza e nella sua potenziale bontà; una bellezza non invasiva, minimalista se si vuole.
Dogville è ben realizzato, come si evince da quanto detto. Ma senza il senso che l’opera acquista, non sarebbe così bello. Dogville ci mostra in atto delle dinamiche di comunità che tutti i giorni possono essere viste nelle nostre case (magari non nella nostra, certo, ma non è così difficile immaginarselo…). Dinamiche della segregazione, dell’esclusione, dell’abuso e del sopruso. Il film ci fa immergere in un fiume culturale che non ci appartiene e in cui – come la Kidmann – rischiamo di annegare, trascinati dalla corrente. Come lei ne siamo dapprima attratti, ma poi sempre più disgustati fino allo splendido finale.
Un film che, oltre che per i meriti (tecnici e narrativi) enucleati in questa sede, ho apprezzato personalmente, perchè è stato la base da cui partire in occasione di un corso universitario di drammaturgia. Soltanto grazie a Dogville ho avuto l’idea giusta per creare un personaggio nella riproposizione “teatrale” che si andava a comporre della vicenda dell’anarchico bergamasco Simone Pianetti (la vicenda è riassunta qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Simone_Pianetti). Chi avrà l’interesse di informarsi un po’ su questa affascinante figura noterà che, in fin dei conti, le similitudini con la storia raccontata da Von Trier sono sostanziali. Ma questa, come si dice, è un’altra storia…
VOTO: 10/10
Il film in una frase: “C’è parecchio da fare qui a Dogville, considerando che nessuno ha bisogno di niente!”

Nessun commento:

Posta un commento