mercoledì 11 gennaio 2012

Ringu - Recensione

Ringu di Hideo Nakata – Genere: Horror – Giappone, 1998
Reiko Asakawa è una giornalista che si mette a indagare sulla misteriosa morte di sua nipote e di alcune sue amiche. Andando a fondo nella vicenda, con l’aiuto del professor Riuji Takayama, scoprirà che le loro vite erano state cambiate da una misteriosa videocassetta, contenente immagini apparentemente prive di senso…
Dal best-seller internazionale di Koji Suzuki, sul finire del XX secolo il Giappone, attraverso l’occhio registico di Hideo Nakata, porta alla ribalta uno dei più innovativi, controversi e soprendenti film horror della storia del cinema. Quasi introvabile in streaming, sono riuscito -finalmente- a vedere questo capolavoro solo grazie a un sito specializzato. Nakata, in poco più di un’ora e trenta di film (partendo però dall’ottima base creata da Suzuki) è riuscito a creare un vero e proprio capolavoro che, come tutti i grandi classici horror ha dalla sua una immensa generatività. Proprio come i romanzi gotici per eccellenza, l’opera che si prende qui in considerazione ha creato uno stuolo di cloni più o meno diretti, arrivando a costruire una vera e propria innovazione di genere. Nei sottogeneri dell’horror è infatti difficile inserire film come Ringu, i remake (molto meno curati) The Ring, Phone, The grudge etc., tanto che si potrebbe pensare di inserirli in un’apposito sotto-genere.
Tornando a un’analisi dell’0pera di Nakata va detto che la storia è ripresa fedelmente dal romanzo dell’autore giapponese ma non per questo perde in freschezza e originalità. Per gli spettatori del 1998 Ringu ha segnato una vera e propria svolta narrativa, una specie di spartiacque o comunque qualcosa in grado di distinguere un “prima” e un “dopo”. Storia complessa che offre vari livelli di lettura, dando spunti anche sull’analisi razionale dei fenomeni paranormali (fotocinesi etc.), Ringu ha importanti agganci con la letteratura gotico-orrorifica di ogni epoca e si avvale anche di interessanti appigli filosofici o pseudo-filosofici (personalmente ritrovo nella storia di Ringu anche una ripresa della Teoria dell’immaginazione materna, già presente nell’Elephant man di Lynch). Tutto questo ne fa un’opera complessa e originale, non minimamente paragonabile all’obrorbio americano che ne è derivato.
Le interpretazioni sono convincenti sempre e comunque e si ha l’impressione (rara devo dire) che siano proprio i personaggi del romanzo a muoversi sullo schermo (salvo i doverosi adattamenti derivanti dal fatto che p.e. Asakawa nel romanzo è un uomo!) e questo genera un gradevolissimo e raro senso di continuità intertestuale. E ancora il personaggio di Sadako è terrorizzante perturbante, molto ma molto di più della sua “cugina” famosa, l’inflazionatissima Samara Morgan. Le apparizioni di Sadako sono rarissime ma straziant e la sua storia è così drammatica da risultare quasi commovente; ebbene sì, siamo portati anche noi a interagire empaticamente con Sadako, quasi a confermare i poteri di suggestione della ragazza.
Un capolavoro assoluto, una pietra miliare del cinema. Si potrebbe discutere di questa mia definizione visto che do’ la qualifica di pietra miliare di genere anche a film tecnicamente più imperfetti (Nightmare, Halloween etc.) ma, mentre questi lo sono per completismo o, se si vuole, per il loro valore storico, l’opera di Nakata è storicamente imprescindibile e tecnicamente impeccabile. Questo la pone almeno 5 o 6 spanne sopra da molti degli horror occidentali “classici”.
VOTO: 10/10

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