mercoledì 11 gennaio 2012

Orwell 1984 - Recensione

Orwell 1984 di M. Radford – Genere: distopico – Gran Bretagna, 1984
Winston Smith conduce una squallida esistenza nel superstato di Oceania. L’ambientazione è nella Londra del 1984, la città è stata stravolta dalla rivoluzione e dalle guerre atomiche. Winston lavora in un cubicolo presso il Ministero della Verità: il suo compito è quello di riscrivere la storia in conformità con l’ordine del giorno che i suoi superiori, senza alcun contatto umano, gli comunicano tramite un impianto di posta pneumatica. Il capo indiscusso del regime è il Grande Fratello, il cui volto invade i teleschermi (muniti di telecamere nascoste, in modo da controllare capillarmente la popolazione) e i manifesti della propaganda.
Tratto dal romanzo-capolavoro di George Orwell, Nineteeneigthyfour (che insieme a Fahrenheit 451 costituisce l’apice della distopia moderna), il film di Radford si presenta come una riproposizione fedele ma non eccessivamente pedissequa del lavoro scrittorio da cui trae ispirazioni. Frequenti sono le citazioni dirette alla penna dello scrittore britannico, ma il film presenta anche alcune peculiari differenze rispetto al romanzo. Questo fatto, se da una parte evita all’opera di scadere nell’emulazione completa, cambia alcuni passaggi narrativi di primaria importanza nel libro. Giusto per citare alcune differenze macroscopiche:
  • Nel romanzo, sia Winston che Julia visitano O’Brien nella sua residenza privata, per informarlo che vogliono aderire alla Fratellanza. Nel film, Winston incontra da solo O’Brien, e lo scopo del loro incontro rimane ambiguo; O’Brien non rivela esplicitamente la sua affiliazione alla Resistenza come fa nel romanzo.
  • Nel film non sono mai menzionate le ideologie del “Neo-Bolscevismo” e del “Culto della Morte” che dominano gli altri Superstati (Eurasia ed Estasia).
  • Nel film il libro segreto della Resistenza Teoria e prassi del collettivismo oligarchico, scritto da Goldstein, viene consegnato direttamente da O’Brien a Winston, astutamente mascherato da Dizionario della neolingua. Nel romanzo viene consegnato qualche giorno dopo, in una cartella, nel pieno del brusio di un comizio
Fatte salve queste discrepanze, l’opera filmica è un buon adattamento – io credo – di quella letteraria. L’atmosfera fatiscente della Londra bombardata, le distese di slums dove vivono i prolet e il rigorismo totalitario del Grande Fratello sono ripresi in tutta la loro drammatica e profetica potenza. La dimensione visuale regalata dal film, in questo caso, potenzia fortemente il patrimonio immaginativo che Orwell aveva già tinteggiato efficacemente nella sua opera. I personaggi sono ben caratterizzati e riconoscibili nel passaggio carta/pellicola: Winston è il burocrate emaciato che ci immaginiamo quando leggiamo del suo malessere e Julia acquista, grazie alla discreta fotografia, un fascino mediocre che si ricava pienamente dall’aria sordida (eppure così romantica) del suo rapporto con Smith. O’Brein è certamente il personaggio più ambiguo e, a mio avviso, meglio riuscito della trasposizione: ha un fascino malvagio nella sua disposizione altalenante fra l’accondiscendenza e l’opposizione (sfumatura questa che nel romanzo non compare assolutamente…).
Il comprarto sonoro è ridotto al minimo, ma non se ne sente la mancanza. La densità concettuale dell’opera orwelliana rivive degnamente in questa riproposizione post-moderna che ne garantisce l’integrità concettuale. Si perde l’esigenza della musica, che si disperde nello schiamazzo assordante dei quotidiani minuti d’odio. La fotografia è discreta, ma di qualità comunque accettabile in un contesto che privilegia giustamente (secondo me) la dimensione concettuale. Credo che, a differenza della riproposizione del romanzo di Bradbury, il film 1984 sia meglio riuscito e rispetti maggiormente il clima in cui l’opera stessa ha preso forma. Da vedere assolutamente, sia per chi ha amato l’opera omonima sia per chi si avvicina per la prima volta al Grande Fratello
VOTO: 8/10
Il film in una frase: Libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Garantito ciò, tutto il resto ne consegue naturalmente. [...] Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.

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