lunedì 27 febbraio 2012

L'amore che resta - Recensione


L'amore che resta di Gus Van Sant - Genere: drammatico - USA, 2011

Enoch è un adolescente riemerso da uno stato di morte apparente in seguito ad un incidente stradale che è costato la vita ai suoi genitori. Annabel è una giovane ragazza con un cancro al cervello in fase terminale. Hiroshi è un ex-soldato giapponese, morto kamikaze in giovane età nella II guerra mondiale ed è l'unico amico di Enoch. Quando quest'ultimo e Annabel si incontreranno a un funerale, le loro vite si incroceranno indissolubilmente.

Ultima opera del regista van Sant, finalmente disponibile in dvd (anche prima della chiusura dei principali siti di streaming e download questo film era introvabile!!!) e disponibile al grande pubblico. In questo suo ultimo lavoro il talentuoso regista (già recensito positivamente qui per alcuni dei suoi capolavori come Elephant o Mala Noche giusto per citare gli estremi ideologici di una carriera molto feconda) ritorna a indagare l'età adolescenziale, cosa che aveva già fatto in precedenti occasioni, nella Columbine di Elephant o nell'ambiente underground di Paranoid Park cambiando però radicalmente il registro d'indagine. Se negli ultimi due film citati è il dramma in sé a costituire l'oggetto e il punto culminante della narrazione, in questo film del 2011 quello che ci viene presentato è un vero e proprio melodramma contemporaneo, un'opera dotata di un romanticismo complesso e di rara purezza, immerso in un contesto drammatico e surreale.

La forza di van Sant è quella di rendere credibile e quotidiana una vicenda che normalmente non lo è: il cancro, la presenza costante della Morte, l'esistenza di fantasmi sono tutte cose che il regista inserisce con una estrema naturalezza all'interno delle maglie di una vicenda piuttosto lineare nel suo svolgimento ma visibilmente molto complessa nella sua struttura sotterranea. L'amore che resta è uno di quei film - rarissimi nel panorama contemporaneo, almeno per quello che riguarda il mainstream, che colpiscono al cuore per il modo trasognato ma estremamente coinvolgente di accompagnare lo spettatore medio nella narrazione di un Amore come non se ne vedevano da un po'.

Quella che abbiamo di fronte è un'opera profondamente contemporanea (lo confermano lo stile e la colonna sonora, visibilmente ispirata all'indie, che così tanto sembra affascinare van Sant) ma che sembra appartenere ad un altro tempo e a un altro luogo o, forse, a nessun tempo e a nessun luogo. Un film che riesce ad essere profondamente eversivo e particolare, insomma, pur non mostrando assolutamente nulla dell'atto amoroso, se non dolci e sfuggenti baci (di una delicatezza che a volte raggiunge il lirismo). Nella loro ricerca di un santo Graal affettivo (come nota giustamente Gandolfi) i protagonisti di questa operetta dei giorni nostri si perdono a cercare una felicità troppo perfetta per essere raggiungibile.

Tra le scene più belle a mio avviso quella della rappresentazione della "morte in salotto", vera e propria sceneggiata nella sceneggiata che si ricollega a tutta una serie di presenze nel cinema vansantiano che hanno a che fare più in generale con la meta-arte e con il meta-cinema (cosa che avevo notato, a suo tempo, nella figura del fotografo di Elephant che scattava fermi-immagine degli individui, cosa che in effetti faceva anche la pellicola stessa). In questo caso, in un film che ruota costantemente attorno alla morte, giocandoci per esorcizzarla e consegnarla all'amore, una scena del genere non può essere letta in maniera casuale e costituisce (credo) un chiaro richiamo alla funzione imbalsamante del cinema, in grado di catturare su un supporto i nostri desideri e i nostri feticci affettivi (quale, forse, è Annabel per Enoch).

VOTO: 10/10