mercoledì 27 marzo 2013

Dracula 3D


Dracula 3D di Dario Argento - Italia, Francia, Spagna 2012 - Genere: horror

Sono d'accordo con quanti diranno che quello dei vampiri è un genere ormai super inflazionato e che dopo Twilight è probabilmente impossibile fare un'ingiustizia maggiore alla figura creata da Bram Stoker. Eppure sembra non esserci mai limite al peggio e - soprattutto in ambito di genere - i sequel e i reboot si susseguono uno dopo l'altro, il più delle volte senza troppa grazia. E' ovviamente il caso del film di Argento che, si dica ciò che si vuole, ha ormai perso tutta la sua abilità. Già con La terza madre, infelice chiusa sulla trilogia delle streghe, il nostro povero regista aveva chiaramente fatto capire di aver smarrito il suo genio, ma Dracula 3D fa male come un paletto di frassino conficcato nel cuore.

C'è perfino da chiedersi come possa essere stato anche solo pensato un film del genere e la risposta che ci si è dati è che anche Argento si sia fatto trascinare dalla follia delle tre dimensioni. Il che già di per sé spesso porta a lavori inconcludenti; in questo caso specifico però, si rasenta il ridicolo. Come ogni rilettura anche questo film propone una scelta fra gli episodi della pur grande opera di Stoker, ma mentre la bella versione di Coppola (per me la migliore fin'ora) ne rispetta la strutturazione fin nel dettaglio, la pellicola di Argento fa un grande pasticcio fra innovazione e rispetto, senza voler prendere nessuna delle due strade. Il risultato è solo una grande confusione narrativa.

L'onnipresente Asia conferma ancora una volta di essere brava soltanto in pochi ruoli, per lo più anonimi: qui è a dir poco ridicola, anche se la sua performance non esorbita certo da quella degli altri membri del cast. Perfino l'epico confronto fra il Conte e Van Helsing, epitome della lotta bipolare fra bene e male qui si configura come un gioco senza scopo e senza eleganza. In effetti la grande mancanza che Dracula 3D ha evidenziato è quella di non aver interiorizzato il giusto spirito nella rappresentazione dei vampiri: nessuna nobiltà d'animo, nessuna fierezza, nessun lussurioso eccesso. Sembra voler ritornare al dettato di Murnau ma anche in questo caso è una causa persa: il regista tedesco di Nosferatu era riuscito a creare con molto meno, atmosfere molto più spettrali grazie a un uso attento del colore e della recitazione sul muto.

La cosa senza dubbio peggiore, poi sono gli effetti speciali 3D assolutamente fini a loro stessi e generalmente piuttosto grotteschi. Citiamo ad esempio soltanto l'imbarazzante cavalletta gigante che uccide il padre di Lucy (come sarà venuto in mente ad Argento di inserire un orrore del genere? Dev'essere per forza stata una sua idea, visto che Stoker non manifesta queste tendenze entomofile!!!). Il sangue abbonda, c'è addirittura qualche testa mozzata, come se Dracula fosse il protagonista di un film splatter di serie B. Alla fine di un film lungo quasi due ore, dopo aver visto solo errori e orrori di ogni tipo, rimangono solo due certezze: il vampiro poteva essere ridicolizzato più di quanto Edward Cullen non avesse già fatto e - soprattutto - non sembra più possibile tornare ai bei tempi di Lestat de Lioncourt.
VOTO: 0/10

lunedì 25 marzo 2013

The mooring


The mooring di Glenn Withrow - Svizzera, 2012 - Genere: Thriller

Ogni quaranta secondi una persona nel mondo sparisce. Al giorno d'oggi quanti modi ci sono per sparire? La soppressione fisica è solo una delle modalità per silenziare un individuo, la cui eliminazione può avvenire anche (e questo vale oggi più che mai) attraverso l'ostracizzazione sociale. In particolare l'avvento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ha portato a una modificazione sociologica di portata epocale, trasformando nel profondo le modalità del relazionarsi umano. Questi cambiamenti sono stati tanto profondi da generare anche nuove sociopatie, connesse a questa nuova modalità espressiva.

Ecco le due anime di The mooring, film svizzero che non ha proprio l'aria di essere tale (quando si dice, non a caso, globalizzazione...). Sono due entità diegetiche che non sembrano andare d'accordo: la regia cerca una mediazione difficile fra due grandi macro-contenitori di genere, il drammatico e il thriller, che solo in virtù di un certo equilibrio possono fondersi senza esplodere. Questo film però non riesce a centrare l'obiettivo. 

Il risultato è un prodotto di bassa lega, che unisce una prima parte molto lenta in cui il quid del film sembra essere appunto il racconto di un gruppo di riabilitazione per persone disturbate da un punto di vista relazionale, a un proseguo del tutto sopra le righe che, abbandonando qualunque regola cinematografica, arrabatta uccisioni una dietro l'altra. Sarebbe stato interessante sviluppare, dalla prima parte della pellicola (per quanto lenta) un film drammatico che - siamo certi - sarebbe stato apprezzabile. Non ci saremmo aspettati troppo, probabilmente il solito film con protagonisti dei teenager che avrebbe riattulizzato in senso post-moderno le istanze di un Noi ragazzi dello zoo di Berlino, ma sarebbe già stato qualcosa.

Invece il nulla assoluto. Come da prassi dei peggiori film di genere americani, il disegno della trama si fa nebbioso e indistinto, tutto è fine a sé stesso e diventa un'inutile e a-significante carneficina. Non c'è uno straccio di approfondimento psicologico degli antagonisti e anche quello delle ragazze che interpretano le protagoniste è ridotto al minimo sindacale. In conseguenza, buona parte della trama è affidata al caso, nel senso che non si capisce il perché delle azioni se non si ammette che i due psicopatici siano effettivamente tali.

E dopo mezz'ora di inseguimenti nella foresta senza che praticamente succeda nulla, arriva in tutta la sua scontatezza un finale prevedibile come pochi altri. Se a ciò sommiamo una fotografia praticamente non pervenuta (fatta eccezione per alcune sequenze di stasi molto piacevoli nella prima parte) e una colonna sonora da commedia anni Novanta, il risultato è - per usare un eufemismo - disastroso. 
VOTO: 4/10

giovedì 21 marzo 2013

The playroom




The playroom di Julia Dyer - USA, 2013 - Genere: drammatico

La famiglia è da sempre considerata, dalla cinematografia e dal senso comune, la grande istituzione fondativa della società. Quando si vuole muovere una critica profonda al mondo contemporaneo, il primo elemento che si fa esplodere è sempre il nucleo familiare: lo sa bene Lars Von Trier, che lo utilizza come miccia per far partire la sua deflagrazione profonda di tutto il mondo medio-borghese, che ritrae con occhio cinico e disilluso. The playroom prende questo presupposto, facendolo proprio e trasportando il tutto in una "stanza dei giochi" dove i bambini, grandi dimenticati di queste narrazioni (che spesso non hanno diritto di parola, come se la loro esistenza fosse forclusa), ritrovano uno spazio abitabile.

Pur partendo da un'idea abbastanza inflazionata come la critica sociale integrata nel microcosmo, il film della Dyer riesce in qualche modo a barcamenarsi fuori dalla prevedibilità proprio grazie a un'orchestrazione generale che richiama le fiabe per i bambini. Una novità insomma, che aggiunge una nota fresca (e - forse ancora più drammatica) a una composizione che certamente non brilla per molto altro. Si succedono situazioni piuttosto prevedibili (una madre fedifraga, un padre impotente ma attaccato al senso della famiglia etc.) e il tutto si risolve in un gigantesco guazzabuglio di episodi senza troppo senso, che se non fossero tenuti insieme dal tentativo di evasione dei figli, certamente non meriterebbero più di una rapida scorsa.

Salvando alcuni passaggi piacevoli, dove la telecamera sembra seguire il traballio ebbro dei protagonisti posseduti dall'alcool (ma sarà voluto?), il film è anonimo sotto il profilo tecnico il che, aggiunto a una generale insapidità dell'impianto diegetico crea un prodotto certamente non di qualità, che sembra volersi proporre come una versione aggiornata di Bunuel ma che in fin dei conti pare semplicemente un oggetto inconcludente, senza arte né parte. 
VOTO: 4.5/10

Insensibles


Insensibles di Juan Carlos Medina - Spagna, Francia, Portogallo 2012 - Genere: drammatico
Spagna, 1931. Un gruppo di bambini violenti viene scoperto essere il portatore di una malattia allora sconosciuta, che impedisce loro di percepire il dolore. Per questo motivo vengono internati in un istituto di igene mentale.
Ai giorni nostri, un medico ha un grave incidente in auto, dove perde la moglie incinta. Il bambino viene salvato e messo in un'incubatrice. Come se non bastasse, scopre - dalle analisi fatte - di avere un tumore che gli lascia poche speranze di vita.
Muovendosi su due piani temporali diversi e in costante permeabilità, Insensibles sperimenta una tecnica ormai consolidata di un certo genere di cinematografia, che ha però il vizio di lasciar intendere anche troppo presto come esista una correlazione fra i due registri narrativi coinvolti. Il film in questione non fa eccezione ed è fin troppo facile prevedere come ci sia una chiara relazione fra uno dei bambini internati nel manicomio/prigione e il malcapitato dottore. Al di là di questo, da un punto di vita diegetico, il film è solido e coinvolgente, lo spettatore è decisamente incuriosito dalla struttura proposta che si rivela comunque interessante. L'unico neo che si può segnalare è un certo spiacevole mixaggio di elementi reali e implausibili, che si fa sentre sempre di più con il procedere del film. Questo fa perdere di credibilità alla storia, che già nel suo sviluppo precedente aveva prestato il fianco a delle situazioni quanto meno improbabili
Al di là del contenuto narrativo poi non c'è molto da segnalare: non ci sono grossi errori da un punto di vista della costruzione dell'immagine, ma al tempo stesso essa non eccelle da nessun punto di vista. L'unico motivo di discussione che Insensibles dà a chi voglia farne critica è appunto il suo comparto narrato, che può indurre a interrogarsi sul senso che può avere un film in cui si innesta una vicenda quantomeno improbabile su uno sfondo storico tanto inflazionato e pericoloso quanto quello del secondo conflitto mondiale (ed eventi seguenti - il film arriva fino agli anni Sessanta).
VOTO: 6/10

mercoledì 20 marzo 2013

ESP: Fenomeni paranormali 2



ESP: fenomeni paranormali 2 di The Vicious Brothers - Canada, 2012 - Genere: Horror
Un gruppo di giovani studenti di cinema, fra cui un aspirante regista, decidono di visitare il sanatorio psichiatrico del primo ESP per tentare di capire se dietro quelle mura in mattoni di cotto si nasconda la verità oppure l'ennesima finzione horror.
Spesso succede (e soprattutto nel caso degli horror) che i sequel si rivelino peggiori degli episodi-pilota. In alcuni casi però (e questo era già successo con The human centipede) una maggiore presa di coscienza delle potenzialità dell'immagine e/o un cambio registico possono invertire felicemente questa tendenza. E' il caso di ESP 2, che pur continuando sull'ormai battutissima strada del found-footage in stile falso documentario (cosa che poteva funzionare ancora con REC, ma che ormai è decisamente troppo inflazionata), riesce ad auto-rinnovarsi, migliorando il risultato piuttosto scadente raggiunto dal suo predecessore.
Niente di nuovo nell'impianto narrativo, è bene intendersi. Il solito insieme di riprese girate attraverso telecamere diverse, questa volta gettato in un universo da teen-movie, con tutti i crismi del caso. Così la prima parte della pellicola si presenta come una stanca riproposizione degli stereotipi di moltissimi film horror, ma tutto sommato si tratta di un'ouverture ancora accettabile. Il film comincia a farsi interessante, al di là della fotografia indecisa ed esteticamente non eccelsa tipica dei film "in presa diretta", quando si entra nel manicomio.
Al di là di tutto il repertorio di spiriti e spettri già visto nel primo capitolo ci troviamo davanti a qualche situazione nuova, come ad esempio l'uscita dall'edificio. Una nota di merito va anche nella citazione abbastanza reiterata di grandi classici del cinema horror (Carpenter oppure i nuovi mostri sacri come Saw, del quale forsre è bene chiedersi prima che cosa sia da un punto di vista teorico!) in modo a volte anche sublimato e comunque mai troppo scontato. Piacevoli anche i (numerosissimi) spunti di metacinematografia e metarappresentazione proposti dal lavoro dei The Vicious, che giocano a inserire cinema nel cinema, immagine nell'immagine e così via.
Un vero peccato quindi che si pasticci così grossolanamente nel finale, mescolando con poca grazia l'impianto sviluppato fino a questo punto con una qualche qualità con improbabili elementi di occultismo e magia nera, tunnel dimensionali etc. Sequenze finali che, se paragonate a film come The grudge (ovviamente alludiamo alla versione originali), sembrano davvero il gioco di un illetterato regista alle prime armi. Complessivamente quindi un film certamente non eccelso, ma in qualche modo godibile, che risolleva le sorti di quella che si spera non diventi una serie in discesa.
VOTO: 5/10


lunedì 18 marzo 2013

28 hotel rooms - Recensione


28 hotel rooms di Matt Ross - USA, 2012 - Genere: drammatico

Un uomo e una donna si incontrano nel ristorante di un albergo. Si guardano insistentemente, lanciandosi qualche sorriso. Lei è sposata, lui ha una ragazza. Passeranno la notte insieme e da quel momento sarà impossibile separarsi.

Ci sono storie d'amore che si costruiscono e si consumano in fretta, colpi di fulmine che ci colpiscono e, ancor prima che ce ne si possa rendere conto, perdono di concretezza e si spengono. Ci sono amori che invece si sedimentano silenziosamente nel tempo, costruendosi in modo negoziato, con lenti passi in avanti. Come che sia, la cosa drammatica è che molte di queste storie sono dimenticate, non raccontate, non trovano spazio nei ricordi e nelle nostre narrazioni. Non se ne può parlare, non le si può diffondere, non le si può vivere. Sono gli amori altri, di cui 28 hotel rooms ci dà un classico esempio: una relazione adulterina.

Il genio e la drammaticità di questo film stanno tutti nell'ambientazione all'interno di camere d'albergo, unica zona di sicurezza dove i due protagonisti, al riparo da sguardi indiscreti possono finalmente sentirsi a casa. Esteticamente è una trovata riuscita, gli ambienti sono chiusi, stretti, non hanno margini di permeabilità all'esterno e sono il perfetto contenitore per una storia narrativa che procede a singhiozzi, come l'amore dei due protagonisti. Si accennava alla drammaticità di una situazione di felicità a metà che - con sorpresa ma non certo con elevata originalità - è sentita molto più dall'uomo che dalla donna: il regista ribalta lo stereotipo di genere presentandoci uno scrittore (perso in un'attività di grande sentimento) e un'economista. 

Tecnicamente il film è nella media, non eccelle se non per brevi momenti in cui il ritmo di montaggio si fa più sincopato e adatto alla rappresentazione di alcune scene; piacevole anche la sequenza a velocità aumentata, per rendere l'effetto dello scorrimento del tempo. In generale si è positivamente colpiti dal "non detto", dal "non fatto", da ciò che non si vede perché si situa negli intervalli non diegeticamente commentati di una relazione che ci resta per buona parte oscura. Giustamente: abbiamo già il privilegio di poter vedere dentro la camera, dove gli altri personaggi (non rappresentati) del film non possono arrivare, sarebbe inutile e banale spingersi oltre.

Complessivamente un bel film, che più che per le caratteristiche tecniche si fa ricordare per la dolce drammaticità della sua diegesi: una storia delicata di un amore che non può essere vissuto appieno ma non per questo appare meno splendente. Anzi, come la Madonna nelle Pietà appare bellissima proprio perché avvolta dal dolore, così la relazione fra i due protagonisti assurge a splendido esempio di un sentimento che non si consuma al di là delle circostanze proprio grazie a questa melancolia di fondo.
VOTO: 7/10

domenica 17 marzo 2013

Anna Karenina - Recensione



Anna Karenina di Joe Wright - Regno Unito, 2013 - Genere: drammatico

Anna, moglie del ministro russo Karenin, incontra un ufficiale dell'esercito, Vronskij, di cui si innamora, ricambiata, in maniera morbosa. Il loro amore però è contrario a tutte le regole socialmente riconosciute e ben presto l'incontenibilità di questa passione li porterà sulla bocca di tutti.

Libero adattamento dal celeberrimo capolavoro di Tolstoj, il film di produzione britannica si rivela una piacevole sorpresa nel panorama cinematografico attuale e soprattutto in una più generale presa in considerazione dello sviluppo diacronico del genere in questione. Il rischio quando si compone una riduzione per il cinema a partire da un'opera di altro genere è quella di travisarne il significato oppure, peccato ancor più grave, di considerare la cinematografia come un contenitore neutro, come un enorme scatolone pronto ad accogliere personaggi e modalità narrative tipiche di altre forme mediali.

La bellezza di questo film sta principalmente in questo: la regia è stata tanto intelligente da capire che al giorno d'oggi un film come questo, per risultare convincente e non stucchevole, deve riuscire a sfruttare i meccanismi del cinema per riplasmare il contenuto. Ovviamente, non potendo agire sulla diegesi narrativa, già perfettamente costruita da Tolstoj, questa versione di Anna sceglie di lavorare sulla genealogia dell'immagine, ovvero sui meccanismi della messa in scena. In particolare è splendido il lavoro fatto in sede compositiva per raggiungere un perfetto equilibrio fra immersione nel racconto e inserimento di elementi di discontinuità che permettono allo spettatore di riflettere sulla natura mediata dell'immagine. 

Così la permeabilità degli ambienti, che trapassano osmoticamente l'uno nell'altro ci danno l'idea di un prodotto costruito con una grandissima attenzione alla componente estetica, cosa confermata anche da una fotografia di buona fattura e da costumi meravigliosi. Il tutto però ha anche un risvolto critico nei confronti del soggetto di narrazione: mentre all'inizio i personaggi entrano in scena attraverso un'esibizione spettacolare che si esemplifica attraverso il palcoscenico teatrale, con il disvelamento della loro vera natura essi perdono la dimensione eroica che la narrazione normalmente concede loro; di pari passo sparisce il proscenio e avanza la drammaticità della realtà fenomenica. 

In generale quindi un prodotto di buonissima fattura, che risulta decisamente piacevole da tutti i punti di vista. Dovrebbe essere un monito per tutti i registi che fanno film "commerciali": Anna Karenina è un film apprezzato dal grande pubblico che però non rinuncia a un certo sperimentalismo dell'immagine, costruito anche attraverso il sapiente ricorso a meccanismi ejzenstejniani (cosa molto ben evidenziata da una citazione molto ben fatta della sequenza della falciatrice de La linea generale).
VOTO: 8.5/10