martedì 4 giugno 2013

Wittgenstein


Wittgenstein di Derek Jarman - Genere: biografico, drammatico - Gran Bretagna, 1993

Teorico del linguaggio e di una nuova concezione della filosofia, autore del breve ma infinitamente influente Tractatus logico philosophicus, Wittgenstein è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento ed ha rivoluzionato nel profondo la stessa idea del fare filosofia arrivando ad affermare la sua sostanziale impotenza. Jarman, regista estremo del nuovo cinema inglese, compone un elogio cinematografico a questo pensatore realizzando un'opera dal sapore profondamente teatrale, che ricorda (forse von Trier ce l'aveva presente), l'impostazione generale di Dogville e Manderlay.

Non siamo di fronte a un ordinato racconto della vita di Wittgenstein, ma a un tentativo di trasporre su pellicola il suo pensiero filosofico, sciogliendolo lungo le tappe principali della sua vita che mantengono però una indeterminatezza abbastanza elevata da permettere all'opera di procedere anche con salti temporali e logici notevoli e mai colmati. I personaggi si avvicendano senza soluzione di continuità su un palcoscenico che a tratti e anche grazie a uno sfondo nero che è interlocutore costante del nostro sguardo, fa assumere a tutta la vicenda un valore più mentale che pragmatico. 

Nelle inquadrature mediamente lunghe di questa parabola cinematografica destrutturata si fondono perfettamente l'aspetto teorico, che mette in luce la difficoltà di un pensiero frammentato ed ellittico e quello personale. Gli individui, pur senza essere descritti nella loro aneddotica pienezza, sono tratteggiati da un punto di vista psicologico con la delicatezza di uno scultore o di un pittore impressionista: pochi piccoli tratti, qualche segno distintivo, il minimo indispensabile per farcene un'idea elementare ma profonda. 

Tutta la pellicola è pervasa da un senso di malinconia, da un desiderio irrealizzato che è quello di Wittgenstein, mai contento dei risultati della sua filosofia e continuamente messo a confronto con un alieno verde che ricorda molto il brucaliffo di Alice nel paese delle meraviglie. Non c'è confine fra reale, verbale e immaginato in questo dramma cine-teatrale dall'evidente impostazione beckettiana, debitrice senza dubbio del teatro dell'assurdo: pochi elementi scenici e un profondo messaggio esistenziale lasciato nelle mani di un dramma che si nutre della discontinuità.
VOTO: 8.50/10

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