giovedì 6 giugno 2013

Tre colori: Film bianco



Tre colori: Film bianco di Kryzysztof Kieslowski - Genere: drammatico - Francia, Polonia, Svizzera, 1994.

Secondo elemento della trilogia cromatica di Kieslowski, Bianco continua alcune delle direttrici di indagine già aperte nel 93 dal precedente Blu. I toni sono meno cadaverici e anche in questo caso domina con insistenza l'elemento coloristico che determina la titolazione dell'opera. Il bianco è anzitutto il bianco del matrimonio, del velo nuziale ma anche di un lenzuolo non insanguinato, di un rapporto con consumato e di una unità di coppia che si sfascia implodendo su sé stessa.

L'apertura contiene in nuce tutto il film. In un'aula di tribunale i due protagonisti discutono sul divorzio. Non c'è intercomunicabilità fra loro e si tratta di una condizione che perdurerà per quasi tutto il film. Karol non sa parlare francese, la moglie parla solo quell'idioma. Fra loro c'è sempre un interprete, uno iato percettivo che determina la distorsione del parlato e, soprattutto, impedisce agli spettatori (a meno che non conoscano il francese, certo) di seguire a pieno il filo della storia. Quando l'interprete viene a mancare noi siamo condannati a non capire ciò che viene detto e veniamo tratti a forza nella stessa condizione di pseudo-sordità in cui si trova il parrucchiere di cui seguiamo le vicissitudini. Ma mentre la sua condizione è in divenire e lui riuscirà ad imparare il francese, noi siamo condannati a rimanere sempre parzialmente esclusi da una parte della vicenda, come se ci fossero dei frammenti diegetici che il regista sceglie consapevolmente di non raccontarci, una storia in cui non c'entriamo nulla perché è la storia privata di due individui. 

Così ci accontentiamo di seguire il viaggio di Karol in fuga da Parigi che, rifugiatosi in Polonia - suo paese Natale - fa fortuna. Non si tratta certo di un elogio alle capacità umane; la sua ricchezza è abitata da una profonda solitudine e da un'essenziale incompletezza che il suo ritrovato potere non possono colmare. Su tutto questo sfondo si innesta infatti un costante memento mori, a volte materiale (l'amico di Karol gli chiede di ucciderlo), altre volte fittizio o figurativo (Karol che inscena il suo funerale). 

Dietro al desiderio di morte si cela però un tenace e ostinato attaccamento alla vita; a un passo dall'abisso, i personaggi di Bianco (al contrario della Julie di Blu) scelgono la via del ritorno, ritorno che per Karol ha le fattezze bianche e stilizzate della moglie, bellissima. Proprio l'atto di morire (pirandellianamente parlando), consente al Nostro un estremo atto di congiunzione sessuale con la consorte, riconquistando la tanto agognate unione matrimoniale che viene comunque pagata a caro prezzo.

Il finale è drammatico, ma non pervaso della ostinata vena pessimistica di Blu: alla domanda della moglie, sporta dalla finestra del carcere, sul loro destino insieme, Karol non sa rispondere. Si limita a guardare da lontano, piangendo, quella donna che ha sempre rincorso e che ora che si trova a pochi metri da lui, è destinato a non poter toccare. Rimane la spiacevole sensazione di una non permeabilità interindividuale che non sia quella sessuale, non c'è congiunzione fra i protagonisti se non sotto le coperte di un letto, fra gli spasimi ansimanti di una notte d'amore. 

Anche in questo caso, come in Blu, i livelli tecnici di realizzazione sono altissimi, vale appena la pena di dirlo. Il solido comparto narrativo si sposa molto bene con la ricerca che Kieslowski mette in cantiere sulla natura dell'immagine e sul suo statuto sensoriale, approfondendo in questo secondo film lo statuto del linguaggio e le sue problematiche all'interno dei rapporti interindividuali. Il colorismo si fa meno invasivo, meno presente, ma ad una visione attenta se ne possono scorgere le tracce all'interno di quasi tutti gli ambienti della scenografia; un colore che più che colpire lo sguardo nell'immediato, penetra all'interno del tessuto delle immagini e lo domina dall'interno.
VOTO: 8/10

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