martedì 4 giugno 2013

Tre colori: Film blu



Tre colori: Film blu di Kryzysztof Kieslowski - Genere: drammatico - Francia, Polonia, Svizzera, 1993

Liberté, egalité, fraternité. Tre concetti, tre imperativi categorici dell'agire precontemporaneo, tre colori. I tre toni della bandiera francese diventano tre lungometraggi, l'ultimo trittico di lavori che Kieslowski ha diretto. Dopo aver spinto la serialità all'estremo con Decalogo, con Tre colori, il compianto cineasta torna a indagare le pieghe dell'animo umano. Film blu è il primo episodio di questo trittico, che già con questa ouverture si presenta come un complesso intersensoriale profondamente votato ad una ricerca estetica sui sentimenti che determinano il nostro essere.

Un alone bluastro avvolge molte delle sequenze fondamentali della pellicola, che si interroga sul senso della perdita e sul dolore ad essa conseguente. La splendida Juliette Binoche interpreta la giovane vedova di un celeberrimo compositore, morto in un incidente d'auto in cui lei stessa è rimasta coinvolta e che ha fra l'altro posto fine alla vita della loro figlia. Adottando uno sguardo profondamente indagatore ma non per questo invasivo, Kieslowski segue le movenze flaneuristiche di Julie che, smarrito il senso della sua esistenza e oscillando continuamente fra il dolore del ricordo e un negazionismo pertinace, si lascia consumare dall'inedia. 

Non c'è uno spazio di comunicazione abitabile dentro la città e l'unica soluzione che resta è la fuga, in una casa scrostata dove l'unica consolazione che lega la  nostra protagonista al passato è un lampadario dai toni significativamente blu. Eppure i demoni del ricordo sono incancellabili ed è proprio in questo frangente che il film rivela il suo meglio; ogni volta che a Julie viene posta una domanda che potrebbe essere il prerequisito da cui partire per ricostruire un senso di socialità e condivisione del lutto, il film propone una battuta d'arresto, un vuoto, uno spazio nero. E' uno stop profondo, che imprime un senso di discontinuità e apre al peregrinare della mente di Julie. 

La vicenda è irrisolta, non c'è desiderio di vendetta e il livore bluastro di oggetti ed ambienti si riverbera anche sulla struttura narrativa che, sebbene proceda in senso lineare, non appare risolutiva da alcun punto di vista. Anche l'atto di completare la sinfonia iniziata dal marito appare inconcludente, visto che la chiusa di Julie (rigorosamente scritta con un pennarello blu) non è utilizzata e la stessa paternità dell'opera al defunto, estrema consolazione e nuovo punto di partenza, viene messa in discussione. In fin dei conti, Film blu, con le sue elaborate inquadrature costantemente alla ricerca del punto di ripresa migliore per descrivere la vuota vacuità dell'esistenza, è una sinfonia alla libertà individuale.

Julie, che appoggiando il suo dito sul pentagramma innesca un meccanismo uditorio a carattere immaginativo, facendoci ascoltare la musica che prende forma, non giudica e non impone la sua presenza che risulta alla fine quasi accidentale, così come accidentale è stato l'incidente che ha portato alla morte del marito. Un'ombra pallida che non vuole che dimenticare e che ci prova gettandosi fra le gelide acque (antiamniotiche, per così dire), della piscina. Ogni comportamento è lecito, anche da un punto di vista morale (Julie è l'unica che non condanna la prostituta del suo stabile deprecando la sua attività), proprio perché la coercizione etica non porta alla ricomposizione del dolore. 

Non c'è condanna, perché non c'è possibilità di riscrittura del passato. La libertà di Kieslowski è un grido alla fragilità dell'individuo, all'idea che la scure incombe su ciascuno di noi, seppure in momenti diversi. E' un messaggio in fin dei conti pessimistico perché, Julie ne è la prova, di questa condizione, non si può dare intercomunicabilità. 
VOTO: 9/10 

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