mercoledì 12 giugno 2013

Il gatto a nove code



Il gatto a nove code di Dario Argento - Genere: thriller - Italia, Francia, Germania, 1971

Che secondo me Dario Argento sia ormai un regista all'empasse è un fatto risaputo; lo dimostrano tanto l'infelice conclusione della trilogia sulle streghe (La terza madre) in cui si perde completamente l'atmosfera dei due precedenti lavori, quanto l'imbarazzante riedizione del mito draculiano (Dracula 3D), fatta in modo goffo e approssimativo. Il gatto a nove code si situa in una situazione ben diversa, agli inizi della carriera del regista che ha rifondato il genere del giallo all'italiana, che in questo caso si colora decisamente di tinte thriller, in pieno stile argentiano. Siamo quindi di fronte a un lavoro ben più degno delle ultime tremende prove del cosiddetto "maestro del brivido", quando ancora la sua poetica era innovativa e capace di formare e attrarre le giovani generazioni di registi: da questo genere di film discenderà tutto un filone cinematografico fatto di epigonismo e di copie più o meno riuscite; è per questo genere di film, insomma, che Argento merita di essere ricordato.

Intendiamoci subito specificando che, comunque, si tratta di un prodotto appena discreto: l'apogeo della sua carriera il regista lo raggiungerà con Suspiria e Profondo rosso, ma l'importanza storica della cosiddetta "Trilogia degli animali" (di cui Il gatto fa parte), è innegabile. Nel film considerato è ben presente tutta l'estetica tipica di Argento, tanto a livello formale quanto a livello narratologico. La vicenda è abbastanza lineare e si dipana attraverso una successione di morti perpetrate da un assassino misterioso, cui danno la caccia alcuni individui, mai appartenenti alle forze dell'ordine (in questo caso un giornalista e un enigmista cieco; sulla cecità in Argento ci sarebbe da scrivere credo: è interessante notare come spesso i personaggi più intelligenti nel comprendere la dinamica dei fatti sono ciechi, come qui e in Suspiria: non è da escludersi la presenza di un messaggio metacinematografico, ma la questione andrebbe approfondita). 

A livello linguistico troviamo dispiegati gli elementi tipici della grammatica thriller, con l'aggiunta di un uso molto accentuato della soggettiva, che talvolta diventa quasi esagerato ma che ci fa assumere il punto di vista dell'assassino (in modo simile al brano iniziale di Halloween: la notte delle streghe). Aggiungiamo solo un breve cenno ad alcuni passaggi molto riusciti in cui la percezione distorta della realtà da parte del protagonista cieco trova riscontro in una progressione discontinua, realizzata tramite l'interpolazione di brevi frammenti extra-diegetici all'interno del tessuto narrativo. Nel complesso ci troviamo quindi di fronte a un titolo che è importante più da un punto di vista storicistico che contenutistico, ma che comunque riesce a farsi guardare con interesse e a intrattenere, nonostante i ritmi strutturati in maniera decisamente diversa rispetto al cinema attuale.
VOTO: 6/10

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