giovedì 13 giugno 2013

Tokyo decadence



Tokyo decadence di Ryu Murakami - Genere: drammatico - Giappone, 1992

Il cinema giapponese di qualità sembra essere morbosamente attratto dalle situazioni estreme; ho già più volte avuto modo di commentare questa tendenza e il film di Murakami (tratti dall'omonimo romanzo del medesimo autore) non fa che confermare questa mia impressione. Tokyo decadence è un film visivamente molto potente ma anche profondamente scabroso; bandito in una manciata di Paesi è stato distribuito in Italia in una versione profondamente amputata (90 minuti contro una versione originale di circa 130). Io ho visto proprio la versione arrivata nel nostro paese tramite la Lucky Red (che comunque va ringraziata per averci donato questo film) e quindi anche il commento sarà relativo a quella parte di pellicola che è consentito vedere con il doppiaggio in lingua.

La narrazione è elementare e praticamente non c'è progressione diegetica, se non nel finale che però a mio avviso è uno dei passaggi meno riusciti di tutta l'opera. Il film procede linearmente giustapponendo situazioni estreme in cui la protagonista si trova implicata, dovendo soddisfare i desideri sessuali dei propri clienti. La volontà del regista di riprendere nella loro interezza questi episodi ne ha fortemente ridotto il numero complessivo: in novanta minuti sono tre o quattro le situazioni che vengono rappresentate, ma tanto basta per dare un'idea abbastanza approfondita e della psicologia dei personaggi e delle movenze ideali che stanno alla base della "decadenza di Tokyo", che vengono ben illustrate proprio durante uno degli scambi dialogici migliori del film.

Al di là di un comparto tecnico che regge decisamente la prova, pur senza situarsi su livelli astronomici, ciò che resta di questo film è la verace sensazione, quasi corporale, che i suoi brani trasmettono. E' come se l'illusione di realtà risultasse profondamente amplificata dalla violenza delle situazioni che vengono rappresentate: più la protagonista scende nella torbida parabola della perversione più la nostra visione si fa aptica e sembra poter toccare la carne ferita dalle frustate. 

A bilanciare questa qualità sensoriale delle immagini contribuisce un modo freddo di riprendere la scena, che rifugge dall'immedesimazione emotiva nei personaggi: non c'è compassione per la nostra infelice protagonista, proprio perché quel destino è stato da lei consapevolmente scelto e abbracciato nella sua interezza. Murakami riesce nella difficile impresa di stabilire una dialettica intelligente fra attrazione e repulsione, facendo in modo che nessuna delle due polarità risulti avvantaggiata. Ne viene fuori un'opera affascinante e perversa, certamente da vedere.
VOTO: 7/10

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