mercoledì 12 giugno 2013

Canzoni del secondo piano



Canzoni del secondo piano di Roy Andersson - Genere: drammatico - Svezia, Norvegia, Danimarca, 2000

Vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes nel 2000, il film di Andersson, anteriore di sette anni rispetto al già recensito You the living, ne presenta già in nuce tutte le caratteristiche, anche se con alcune leggere variazioni che ne garantiscono l'indipendenza e la singolarità. Rimane comunque inalterata l'impostazione di fondo, tanto a livello linguistico quanto a livello dei contenuti. La diegesi è spezzata e, anche se risulta internamente più coerente rispetto a quanto avviene in You the living, le linee narrative sono praticamente inesistenti. Il regista sceglie di procedere per compartimenti ben definiti, cornici elementari entro cui si compie l'azione drammatica. Sono contenitori chiusi, anche se non ermeticamente: spesso accade che i personaggi si incontrino e si trovino a passare nei medesimi ambienti, anche se non c'è mai interazione fra di essi.

Arriviamo così al grande messaggio esistenziale che sottende tutta l'opera e che rimarrà inalterato anche nel bellissimo film del 2007. Non c'è possibilità di interazione fra gli individui che, per quanto tentino di instaurare dei dialoghi, alla fine risultano sempre irrimediabilmente soli; è una concezione negativa che investe anche la sfera linguistica, defraudata della possibilità di essere elemento cementificante all'interno del consorzio umano. Ogni uomo è un'isola, potremmo dire, anche se Canzoni del secondo piano appare forse leggermente meno pessimista rispetto a quanto non sia You the living in merito a questo aspetto. 

L'idea che anima la regia si traduce anche a livello grammaticale: anche qui la fotografia è ottima, ma disegna ambienti asfittici che opprimono l'individuo in una dimensione che dovrebbe formalmente appartenergli ma che in realtà mette in crisi lo stesso concetto di abitabilità. Lo spazio è autoreferenziale e non è pensato per ospitare gli individui che, anzi, risultano sempre più soffocati quanto più vi entrano. Questo porta anche alla scelta di un montaggio estremo, un grado zero potremmo dire, molto simile a quanto poteva capitare di vedere nel cinema delle origini (prima dell'istituzionalizzazione del montaggio narrativo, prima di Nascita di una nazione, per intenderci). E' un elemento che ritroviamo fortemente anche nella pellicola del 2007, ma in quel caso la sensazione era quantomeno smorzata dall'idea di montaggio tramite la luce; qui questo elemento appare invece solo accennato e a farla da padrone è una sorta di tableaux postmoderno. 

Canzoni del secondo piano è un lavoro profondo, meno ironico di You the living e profondamente pervaso di uno spirito che si rivela al contempo religioso ed eretico, per quanto paradossale questo possa sembrare. Memorabile è a tal proposito la scena della Prima Comunione (che ricorda molto il dipinto di Ensor, L'entrata di Cristo a Bruxelles) che si traduce nell'omicidio intenzionale di tutti i bambini: gioco mortale fine a sé stesso o recupero di un'ideale vicinanza al Cristo? Certo è che la sfera della religiosità gioca in questo lavoro un ruolo fondamentale ma costantemente ambivalente: anche la figura di Gesù, costantemente evocata nella materia e negli scambi dialogici, rimane vittima di questo gioco. 

Siamo di fronte a un film estremo che, al di là dei gusti, deve essere necessariamente visto e ricordato come il manifesto di un cinema antico e contemporaneo. E' antico nei modi, ma estremamente moderno nei contenuti, sagace e tagliente nel disegnare il degenerare della nostra società, che viene distaccatamente dipinta come un grigio insieme di stanze post-apocalittiche, dove i flussi che tanto stanno a cuore a tutto un certo modo di intendere l'esistenza e l'abitabilità, si ingorgano irrimediabilmente. Ognuno è bloccato nella sua posizione, in uno stallo che non può risolversi, perché muoversi significherebbe essere annientati (o considerati folli).
VOTO: 9/10

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