sabato 29 giugno 2013

Manhattan



Manhattan di Woody Allen - Genere: commedia - USA, 1979

Devo ammettere di non essere mai stato un grande estimatore delle commedia, soprattutto quando hanno dei lacrimosi risvolti romantici. Ma si sa che nella vita non si finisce mai di imparare; così come bisogna continuare a leggere, chi ama il cinema deve continuare a guardare i suoi prodotti sia per rimanere sempre aggiornato sulle ultime tendenze, sia per una questione di conoscenza storica. E' una fortuna quindi che questa tendenza mi abbia condotto a (ri)scoprire i film di Woody Allen, come il già recensito Io e Annie o il presente Manhattan

Di entrambi ho adorato quella vena paradossale che li rende un perfetto esempio di commedia sofisticato-cinica e - al tempo stesso- un divertente gesto decostruttivo e parodico dell'autore verso sé stesso. La schizofrenica logorrea di Allen, che rimette in gioco il senso dell'autore postmoderno agendo nei suoi testi filmici a più livelli (dalla regia alla recitazione) conduce lo spettatore entro un disegno relazionale spesso desolante ma sempre dipinto con uno sguardo mordace e colmo di spirito. Come nel suo precedente film che mi è capitato di vedere, la spinta autobiografica sembra essere molto forte, con i drammi e le piccole psicosi del protagonista/autore che vengono messe impietosamente e comicamente in luce. 

Manhattan poi ha il pregio di essere formalmente dissonante, con un'aria che raggiunge quasi il noir per il colorismo e il modo di riprendere gli ambienti e e le situazioni ma che viene costantemente rovesciata e cambiata di segno dal genio magmatico ed eternamente in movimento di Allen. Proprio per questo all'innegabile portato da commedia sofisticata si unisce qui un'attenzione per il corpo e i suoi movimenti che non ho ritrovato ad esempio in Io e Annie e che sembra avvicinare il film a tutto un altro filone della commedia americana, che mette al centro appunto i movimenti dei personaggi che diventano il vettore della comicità. Qui il tutto è molto cristallizzato ma è innegabile che è proprio la danza quasi chapliniana di Allen a condurci entro i motori della macchina narrativa.

Tecnicamente il film si situa, rispetto ad Annie, in una prospettiva più classica: mancano quasi completamente gli stilemi moderni che pure permanevano nel precedente lavoro fortemente piegati alla diegesi. Comunque sono quantomeno da notare la bellezza di alcune inquadrature e lo splendido prologo con voce over e immagini della New York tanto amata dal protagonista. Anche la titolazione non può non far pensare a un gigantesco regalo di un cineasta alla sua città, di cui è evidentemente follemente innamorato.
VOTO: 8/10

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