mercoledì 5 giugno 2013

Taxi drvier



Taxi driver di Martin Scorsese - Genere: drammatico - USA, 1976

C'è stato un tempo il cui il cinema americano era in grado di rivaleggiare con l'Europa in termini di indagine sul cinema e di bellezza estetica delle immagini. Si parla di Nuova Hollywood quando ci si riferisce al contesto di concepimento di un film come Taxi driver, un momento della storia americana in cui il forte comparto narrativo ereditato dal cinema classico riusciva perfettamente a convivere con gli stilemi che andavano sviluppandosi in Europa grazie al Neorealismo e alla Nouvelle vague. Il film di Scorsese incarna perfettamente quest'idea di fondo e riesce a recuperare gli elementi delle due tradizioni (americana ed europea), potenziandoli a vicenda e creando un prodotto che rimane ancora oggi come un capolavoro inossidabile della storia della cinematografia mondiale.

In Taxi driver c'è molta America, soprattutto da un punto di vista narrativo. Tutti gli elementi della diegesi (il taxi, le primarie presidenziali, il degrado delle strade e il chiassoso vociare della public opinion sull'argomento) concorrono a creare un mosaico dell'americanità post-vietnamita, che cerca di recuperare la sua identità in un contesto sociale ed etico profondamente mutato, dove vige un relativismo comportamentale che rende difficile vedere da che parte stia la giustizia. E' proprio in questo entroterra che germina la follia mortalmente ineccepibile di un insuperato Marlon Brando, che diventa giustiziere della porta accanto, braccio armato di una legge che non esiste o non agisce, nuovo arringatore contemporaneo che lascia che sia la sua 44Magnum a parlare per lui. 

Da un punto di vista stilistico e formale, il primato va invece a tutti quegli elementi che contraddistinguono il cosiddetto cinema moderno e che ritroviamo con una pertinace costanza in molte delle produzioni coeve, non solo americane. L'introduzione della voce over che accompagna lo spettatore nell'indagine del mondo psicologico della diegesi è un riflesso di una maggiore libertà narrativa, passata attraverso la mutuazione cinematografica del flusso di coscienza, piegato istanze narrative. Le inquadrature, ben lungi dall'essere sempre consequenziali o utili ai fini della costruzione dello spazio o delle relazioni, si aprono a un maggiore spazio d'indagine che si riverbera su tutto ciò che anima la scena. Sono le inquadrature inutili del non detto, del sussurrato, del sottinteso.

La colonna sonora conferma la sensazione di indistinzione che ci permette di parlare di Taxi driver come un film in divenire, non chiuso in compartimenti stagni. Il jazz che anima il tema principale con note calde e avvolgenti è il contrappunto ideale a un'osservazione partecipe come quella del protagonista Travis. Tutto scorre, filtrato dal vetro bagnato dello yellow cab di de Niro e i suoi occhi non si posano su nulla: è il flaneur senza posa di una nuova metropoli, ancora più magmatica e pericolosa. L'indeterminatezza etica di cui questo monstrum di cemento e ferro si nutre, la facilità con cui schiaccia i suoi membri nel silenzio generale, non passano inosservate agli occhi di Travis che, nuovo (anti)Socrate senza cultura, si fa carico di un grido esplosivo che lancia rumorosamente contro i simboli della sua insofferenza esistenziale.

Un film seducente, plumbeo e dotato veramente di un fascino senza tempo. De Niro è l'individuo anarcoide che ancora oggi cammina al nostro fianco, quello che forse ha il coraggio di fare ciò che noi non possiamo o vogliamo tentare, un uomo sopra le cose, che può e vuole distruggere i simboli della nostra obnubilazione (memorabile la sequenza in cui spara con la sua pistola alla televisione, che trasmetteva - non a caso? - un film romantico; che Taxy driver nasconda una critica anche a un certo modo di fare cinema?
VOTO: 10/10

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