domenica 16 giugno 2013

Le luci della sera



Le luci della sera di Aki Kaurismaki - Genere: drammatico - Finalndia, 2006

Dopo aver visto alcuni lavori di Kaurismaki (come La fiammiferaia, recentemente recensito) non si può non notare come la caratteristica principale del suo cinema sia quella di tracciare geometrie relazionali utopiche in spazi esistenziali solitari e inamovibili. Le luci della sera, film decisamente posteriore rispetto al sopraccitato, non fa eccezione e indaga con una glaciale freddezza al limite dell'analisi documentaristica la vita di una guardia giurata qualsiasi, che viene coinvolta in un'operazione criminale e vede la sua eterna buona fede costantemente non ripagata.

L'affresco che traspare da questa pellicola è desolante: il destino di ciascuno sembra essere predeterminato e non c'è modo di rinnovare la propria condizione, che si inserisce irrimediabilmente in un binomio dal sapore ontologico fra vincitori e vinti. Si tratta di un topos che ha avuto larghissima fortuna anche in letteratura (Verga ne è un chiaro esempio) e che in questo film finlandese sembra rinascere, dolorosamente calato nel contesto contemporaneo. Così Le luci della sera, parte di una trilogia consimile per toni e tematiche, da' voce a una narrazione di sopraffazione, in cui anche le relazioni umane vengono travisate o ignorate. Così il nostro protagonista, sospeso fra due donne spesso rappresentate in modo abbastanza evidentemente hitchcockiano (in particolare ricordiamo la scena del ristorante de La donna che visse due volte), non riesce a trovare la sua dimensione esistenziale e la bontà che lo contraddistingue diventa un'arma a doppio taglio.

Se poi nel bel La fiammiferaia il grido di desolazione e solitudine della protagonista trovava un riscontro estremo nel desiderio di vendetta, Le luci della sera è in questo senso connotato da un pessimismo estremo: viene meno qualsiasi possibilità di rivalsa e non è neppure ventilata l'eventualità che la guardia giurata di cui seguiamo le vicissitudini, con un estremo slancio vitalistico, rivendichi sé stesso e la sua posizione nel mondo. Arreso all'evidenza dei fatti egli si muove in spazi dal sapore hopperiano che, anche grazie a una sorvegliatissima messa in scena e fotografia, si rivelano sempre più ostili e inabitabili; il finale, di una drammaticità intensa e materica, conferma ancora una volta la nostra intuizione: non c'è possibilità di salvezza per i subalterni, che non possono far altro che accettare la loro condizione nella passività più totale.
VOTO: 7/10

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