giovedì 20 giugno 2013

Arirang



Arirang di Kim Ki-duk - Genere: drammatico/documentario - Corea del Sud, 2011

Se Pietà, splendido lavoro di Kim Ki-duk praticamente appena recensito, ha segnato il ritorno sulle scene del celebre regista coreano con la (meritatissima) premiazione al Festival di Venezia, Arirang è la testimonianza di un tempo precedente, dal sapore quasi atavico e antidiluviano, di una crisi che prelude a una resurrezione (sarà un caso che il film successivo, che collega i due, sia Amen?). Sotto shock dopo l'incidente occorso durante le riprese di Dream, il cineasta si è ritirato per tre anni in un eremo di montagna, in un isolamento assoluto che sa di ascesi monastica e che i fotogrammi terrei e imprecisi di questo lavoro testimoniano egregiamente.

Al di là di tutto, delle motivazioni personali che hanno spinto il regista a dedicarsi a questo genere di cinema (aspetto sicuramente meritorio ma che non ho gli strumenti per approfondire), Arirang è un grido che risale violentemente e che urla alla base della nostra percezione, chiedendoci di riflettere sulla vera essenza del cinema. Insomma, oltre a tutte le interpretazioni che potrebbe potenzialmente ricevere, il film di Kim Ki-duk è la perfetta dimostrazione del fatto che per fare cinema, vero cinema, non ci sia bisogno di nient'altro che di una videocamera e di qualcosa da filmare; questo non vuol suggerire certo che un qualsiasi materiale filmato sia un film, ma sarebbe bene riflettere che si può dire e fare moltissimo anche col niente quasi assoluto. 

L'aspetto commovente di questa narrazione così fortemente irregolare, spezzata, paradossalmente antinarrativa è la profonda umanità che rilascia ad ogni immagine, come se il regista fosse riuscito a intridere la pellicola della sua sensibilità incredibilmente umana. E' singolare poi rendersi conto che l'affezione che si può provare per un film come Arirang non deriva essenzialmente da una sterile empatia con una storia lacrimosa, ma con la presa d'atto dello sterminato amore di Kim per il cinema e della sua insopprimibile necessità di produrre per esistere, come che lui fosse nato per la macchina da presa.

Sicuramente un film complicato, non per tutti, che grazie a una ottima fotografia riesce a penetrare nella sostanza più pura e personale della settima arte. Non è un film pensato per il grande pubblico, il ritmo narrativo ce lo conferma, ma fatto essenzialmente per un regista che ne aveva l'estrema necessità. Il cinema è una cosa seria; c'è anche chi lo intende come una questione di vita o di morte.
VOTO: 9/10

Nessun commento:

Posta un commento