giovedì 20 marzo 2014

Nymphomaniac: Volume I



Nymphomaniac: Volume I di Lars von Trier - Genere: drammatico - Danimarca, Germania, Regno Unito, Belgio, 2013

E' più o meno impossibile dire quanto si sia parlato dell'ultima fatica di Lars von Trier negli ultimi mesi, da quando sono circolate le prime locandine che raffiguravano i diversi protagonisti del film in preda all'orgasmo. Due versioni diverse (di 240 e 330 minuti) per un film diviso in due parti a loro volta frazionate in episodi  o capitoli (scelta non nuova per il regista, che aveva già utilizzato questo artificio in Dogville, uno dei suoi indiscussi capolavori). Questa recensione prende in considerazione il primo volume della versione breve (essendo la versione lunga e non censurata ancora irreperibile, cosa che sarà vera almeno fino al tardo 2014, stando a quanto detto dagli incaricati). Come sempre nel caso di un film di Lars mi trovo in grande difficoltà: dai tempi di AntiChrist devo ammettere in tutta sincerità che i suoi film hanno sempre messo a dura prova le mie capacità ermeneutiche, facendole davvero esplodere nel caso del film appena citato. In senso generale mi pare che Nymphomaniac, per quanto sia senza dubbio un film profondo e connesso a più livelli a una serie di tematiche assai ampie e complesse, sia meno ermetico dei precedenti (penso anche a Melancholia) e, mi azzardo a dire, costituisca quasi una summa del percorso artistico compiuto sin'ora da Lars (cosa che mi sembra confermata anche dall'impianto monumentale dell'opera). 

Riguardo alla trama in questo come negli altri casi c'è veramente poco da dire, se non che lo spettatore segue, attraverso una sorta di "confessione" (ma il termine non è esatto), le vicende di una donna ninfomane (ancora una volta Charlotte Gainsbourg) che si racconta ad un anziano e gentile individuo con la passione per la pesca da lenza (cosa che, peraltro, consentirà una catena di affascinanti associazioni per tutta la durata del film). Dunque il sesso è senza dubbio la cifra caratteristica del film e non si tratta di un campo inedito per il regista: al di là della sequenza fin troppo esplicita di AntiChrist, riferimenti del genere erano presente anche nel meraviglioso Le onde del destino e nell'altrettanto bello Idioti. In tutto questo von Trier fu accusato spesso di misoginia e fino a tempi recenti pare non si fosse impegnato troppo a smarcarsi da queste voci. Ma nelle sue ultime opere e in particolare con questa è evidente come in realtà von Trier abbia un rapporto di amore/odio con la figura femminile, dal quale è morbosamente attratto eppure (pare) continuamente inquietato: sorta di madre fallica, la Gainsbourg oscilla qui continuamente fra la volontà predatoria (emblematica in tal senso la sequenza del "sei il primo che mi abbia mai fatto provare un orgasmo) e il completo e passivo abbandono (di cui ci parla, seppure in modo per nulla sciocco, il personaggio di Jerome, ben interpretato da Shia LaBeouf, protagonista del certo non imperdibile Transofmers). 

Tutto questo prende la forma di un gigantesco e fittissimo arazzo nel quale lo spettatore si trova avvinto suo malgrado, seguendo il racconto e i dialoghi con l'anziano Seligman. Il risultato è un pastiche di grande spessore nel quale il regista riesce a fondere con sapienza scene sessuali realistiche guardate quasi voyeuristicamente (ma aspetto la versione non censurata per cogliere le differenze e ragionarci sopra meglio), riflessioni erudite, citazioni letterarie e molto altro ancora. Anche stilisticamente il cambiamento è ben percepibile sia nel modo di gestire i brani filmici, sia per quanto riguarda fattori più evidenti come la scelta del b/n nel capitolo Delirium o l'utilizzo sciolto e libero di segni grafici che si inscrivono sull'immagine o la sostituiscono (vedi Dogville), senza dimenticare l'elegante citazione della cronofotografia verso la fine del film. 

Questa complessa strutturazione ci regala un film a mio avviso straordinario (ma l'errore è dietro l'angolo? Nel caso di questa recensione gli eventuali commenti saranno ancora più graditi), che come sempre sembra dire qualcosa che viene smentito progressivamente, senza che lo spettatore se ne accorga. E dunque cosa resta dopo due ore di proiezione che hanno saputo raccontare attraverso una vasta pluralità di registri le cose più diverse? Alla fine, avvinta nell'abbraccio di Jerome, la Gainsbourg dice "non riesco a sentire niente". Non c'è definizione più adatta - mi sembra - per un film del genere, che racconta il vuoto di un'esistenza ossessivamente in cerca di un senso (di un completamento, potremmo dire con un gioco di parole forse un po'infelice, di uno riempimento) che approda in un vicolo grigio e freddo, in maniera quasi incomprensibile (almeno finché non avremo per le mani il Volume II). Prima di concludere e di invitare ovviamente alla visione del film (qui più che mai raccomandata), una nota di merito va senza dubbio a Uma Thurman, che con il suo personaggio ci regala uno dei momenti migliori dell'intero film (e forse uno dei monologhi più belli degli ultimi anni?).

VOTO: 9/10 

Nessun commento:

Posta un commento