lunedì 17 marzo 2014

Dallas Buyers Club



Dallas Buyers Club di Jean-Marc Valée - Genere: drammatico - USA, 2013

Uno dei film più discussi delle ultime settimane, vincitore di tre premi Oscar fra cui quello per il miglior attore, che ha visto Matthew McConaughey contrapposto a Leonardo di Caprio, con la vittoria del primo. Non so dire che a confronto con The Wolf of Wall Street l'assegnazione del premio abbia reso giustizia alle parti in causa, ma senza dubbio la straordinaria forza che promana da questo film (ultimo lavoro nella non sterminata filmografia del canadese Valée) poggia senza dubbio sulle spalle del duo McConaughey/Leto (lo stesso Jared Leto è stato insignito del premio come migliore attore non protagonista, cui si aggiunge quello al miglior trucco e acconciatura per completare il tris). Parlando di Gravity ho avuto modo di precisare come, secondo me, agli Oscar si cerchi sempre di premiare dei titoli che siano al tempo stesso smaccatamente hollywoodiani ma ben realizzati dal punto di vista formale. Anche Dallas Buyers Club risponde a questa esigenza, seppure in modo certamente diverso rispetto a quanto ha fatto Cuaròn. Il grande pregio del film di Vallée sta nella capacità di legare lo spettatore alla storia, avvincendolo attraverso un vincolo empatico che gioca da una parte sulla rievocazione dello spettro mai completamente abbattuto del virus HIV e dall'altra sulla conoscenza condivisa che quella raccontata è una storia vera. Questo vale per tutti ma, a maggior ragione, per la generazione che l'AIDS lo ha vissuto come un vero e proprio male collettivo, la generazione dei nostri genitori o dei nostri parenti un po' più giovani che hanno avuto modo di verificare come la diffusione della malattia appia portato (anche) a un decisivo cambiamento nella topografia dei corpi e della loro sessualità (a tal proposito sono sempre molto pregnanti le riflessioni che Judith Butler propone in molti suoi testi). 

Dunque abbiamo dispiegati tutti gli elementi di un efficace dramma hollywoodiano e, almeno in una certa misura, Dallas Buyers Club lo è; ad esempio è presente il tratto di critica all'establishment (in questo caso a quello delle case farmaceutiche) che costituisce uno dei leitmotiv più diffusi all'interno dell'industria cinematografica americana mainstream. Una vicenda forte ed empatica viene raccontata con immagini di grande qualità formale e coloristica, dove l'abbandono delle tinte forti annuncia e accompagna il manifestarsi della malattia nel corpo e nella vita dei protagonisti. Si è letto molto in giro (e a ragione), che tutto il film si regge sull'interpretazione dei due attori premiati con la statuetta d'oro. Senza dubbio; ma la più grande trovata del regista è stata sicuramente quella di inscrivere questa capacità di racconto all'interno dei loro corpi, nella loro materialità di individui. L'elemento straordinario allora non è tanto la loro interpretazione in sé, quanto più il realismo ai limiti dell'autenticità che i due sono riusciti a esprimere grazie a un lavoro sulla loro fisicità, di cui il dimagrimento innaturale è senza dubbio la più eloquente e tragica manifestazione.

Nel complesso Dallas Buyers Club è senza dubbio un film da Oscar, per i motivi che ho cercato di specificare più volte qui e altrove. Ben recitato e realizzato, sopratutto attraverso uno sfruttamento intelligente di alcune figure di montaggio meno narrative del solito, il lavoro di Vallée si lascia ricordare senza dubbio come uno dei migliori della passata stagione cinematografica.

VOTO: 9/10 

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