martedì 18 marzo 2014

Cruising



Cruising di William Friedkin - Genere: thriller/drammatico - USA, Germania Ovest, 1980

E' indubbio che né William Friedkin né Al Pacino siano ricordati per il film Cruising. Mentre il primo è noto ai più solo come il regista del pur bellissimo L'Esorcista, Pacino è senza dubbio alla storia per interpretazioni ben più memorabili, come quelle de Il Padrino, Scarface o L'avvocato del Diavolo. Questo si giustifica almeno in parte se consideriamo il fatto che Cruising è stato per lungo tempo considerato un film di scarsa qualità in conseguenza delle critiche che si sono levate impietosamente contro di esso da parte della critica gay, cosa che ha senza dubbio influito anche sul suo scarso successo commerciale. Ci sono voluti più o meno dieci anni perché al lavoro di Friedkin venisse riconosciuto il giusto merito; intendiamoci: non si tratta certo di un capolavoro, ma Cruising è comunque un film ben fatto e che sta in piedi sulle sue gambe con forza. Le critiche sostanzialmente si sono appuntate sul fatto che il film presenterebbe una visione distorta della comunità gay e arriverebbe addirittura a proporre una poetica di stampo omofobico. 

Come spesso succede con gli attivisti di qualunque risma, mi sembra che in questo caso si siano persi di vista alcuni degli elementi necessari alla comprensione del prodotto, che sono peraltro consegnati al testo stesso. Sin da subito appare chiaro che la ricerca del nostro agente di polizia non sarà legata alla vita omosessuale mainstream ma lo porterà ad addentrarsi nei circoli sadomasochistici della città. Questo effettivamente gli permette di vedere con icastica evidenza un mondo fortemente connotato, ma non credo in maniera negativa. Friedkin mostra allo spettatore quanto può, censurando il proprio sguardo pur senza risparmiare nulla in fatto di sensazioni e sollecitazioni visive. Friedkin, a mio parere, non giudica. L'unica scena che poi potrebbe permettere di leggere Cruising in chiave omofobica ha a che vedere con l'omicidio del giovane Ted, che viene commesso verso la fine del film. Senza dubbio si tratta di una scena cardine per comprendere la psicologia del nostro protagonista, ma per quanto rappresenti una sorta di cliff-hanger, non mi pare che alla sua sola lettura si possa affidare un significato così netto e che per giunta coinvolga tutto il film.

Siamo dunque di fronte a un film ostracizzato, che addirittura ricevette tre nomination per i Razzle Awards (gli anti-Oscar, per capirci; ne ho parlato nella recensione di After Earth), a mio avviso del tutto immeritate. Ho già precisato che senza dubbio non siamo di fronte a un film indimenticabile, ma il talento registico di Friedkin è assolutamente fuori discussione, soprattutto se si considera la sua straordinaria modernità nel raccontare alcuni brani specifici del suo racconto, come l'effetto degli stupefacenti sul corpo e sulla percezione sensoriale dell'agente di polizia infiltrato ben interpretato da Al Pacino. Credo che tutto sommato si tratti di un film che vale la pena di riscoprire, quantomeno (come nel mio caso) per farsi un'idea diversa del lavoro cinematografico di Friedkin, associato sempre e solamente al suo indubbio capolavoro. Senza dubbio, questo è bene precisarlo, non è il film adatto per gente becera o che non è in grado di distinguere la rappresentazione dal giudizio morale. 

VOTO: 6/10 

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