sabato 22 marzo 2014

La casa dalle finestre che ridono



La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati - Genere: thriller - Italia, 1976

Come spesso succede nello scrivere queste brevi recensioni che, mi rendo conto, spesso hanno più la fisionomia di appunti piuttosto sconnessi il cui scopo sarebbe quello di indirizzare la visione dei lettori, devo confessare la mia ignoranza. Ammetto infatti che non conosco bene Pupi Avati come regista e che, anzi, questo è il suo primo film che mi capita sottomano. Ciò nonostante devo dire che per quello che si legge in giro La casa dalle finestre che ridono mi aveva molto incuriosito; considerata da molti uno dei migliori film di Avati si presenta sin da subito come un classico giallo/thriller all'italiana, con la peculiare caratteristica di essere ambientato nella provincia ferrarese. Questo aspetto, che avrebbe senza dubbio potuto far sconfinare tutta la composizione nel ridicolo, è gestito da Avati in modo tanto convincente che alla fine la caratterizzazione padana risulta vincente, arrivando ad assurgere al rango di vero e proprio elemento qualificante del film. L'orgoglioso provincialismo dei personaggi non si riduce a una successione di situazioni macchiettistiche, ma anzi conferisce spessore e credibilità a una vicenda che, almeno per tutta la prima parte, appare giocata su temi meno sanguinolenti di quelli a cui un certo cinema del genere ci ha abiutato, soprattutto in Italia.

Così La casa dalle finestre che ridono si promette come un film più di sensazione, almeno per la buona prima metà della proiezione. I personaggi di Avati, non ridicoli ma fortemente caratterizzati in senso grottesco, rappresentano una sorta di eco ai Freaks di Brownings, seppure calati in un contesto robustamente italiano che, come dicevo, impreziosisce e rende caratteristico tutto il film. Nel complesso, soprattutto dal punto di vista visivo, c'è dunque ben poco da imputare al lavoro di Avati che procede con sicurezza attraverso inquadrature dai tagli insoliti ma fortemente espressivi che ben si sposano con il cromatismo un po' umido e palustre degli ambienti scelti. Purtuttavia sopratutto nella gestione della trama tutta la seconda parte del film appare piuttosto faticosa e carente, per quanto persistano alcuni sprazzi interessanti soprattutto nell'ultimissima sequenza. Questo a mio avviso deriva dal fatto che proprio nella parte caudale della pellicola Avati si lascia prendere dal desiderio del sangue, minando tutto il lavoro che aveva sviluppato precedentemente (improponibile, ad esempio, la versione "zombie" del pittore Buono Legnani; veramente una caduta di stile).

Complessivamente un film decisamente interessante, pieno di spunti stilistici e formali davvero meritevoli, purtroppo minato da alcuni errori piuttosto importanti di formulazione. Nonostante ciò mi pare si tratti di un titolo che andrebbe riscoperto e, azzardo, a sicuro discapito di certi lavori - molto meno riusciti - che godono di maggiore popolarità.

VOTO: 6/10 

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