mercoledì 15 maggio 2013

Laurence anyways

 

Laurence anyways di Xavier Dolan - Genere: drammatico - Canada 2012

Di Xavier Dolan, giovanissimo regista canadese, già due volte partecipante alla sezione Un certain regard del festival del cinema di Cannes ho già avuto modo di parlare. Proprio con Laurence Anyways Dolan ha peraltro vinto un premio in quella manifestazione lo scorso anno, che già lo aveva visto partecipare l'anno precedente. Attendevo quindi con estremo interesse di poter vedere questo suo terzo lungometraggio, uscito in dvd anche se (come per gli altri due film) non è ovviamente disponibile una versione in lingua italiana. 

In generale il film si presenta come una gigantesca summa dei temi cari al regista, che in particolare affronta in questa sua ultima fatica l'itinerario di trasformazione di Laurence, un insegnante che - alla soglia dei trentacinque anni - decide di cambiare sesso e di diventare una donna. Dolan quindi non smentisce la sua predilezione per le tematiche LGBT, sempre declinate in particolare attraverso una lente che ne mette in primo piano le componenti relazionali e sociali. Registriamo comunque, rispetto ai precedenti film, una enorme complessificazione dell'universo diegetico che non appare più chiuso nell'analisi quasi maniacale di rapporti minimi come quello con la madre (J'ai tué ma mère) o quello di amore/amicizia in un triangolo dalle tinte indie (Les amours imaginaries). 

Laurence è il simbolo di una crescita, un film spartiacque che apre a un nuovo momento d'indagine. Lo sviluppo linguistico che ha avuto modo di farsi nei precedenti lavori viene qui fatto esplodere in tutta la sua potenza. Vengono meno le parti più autoreferenziali (sintomatica anche la scelta di Dolan di non prendere parte al film in qualità d'attore, se si esclude un brevissimo cammeo alla Hitchcock) e si privilegia una sinergia molto ben riuscita fra strutturazione narrativa e sperimentazione estetica. Anzitutto va notato che Dolan è stato in grado di gestire egregiamente una pellicola di lunghezza davvero insolita (più di 180 minuti), evitando anche il pericolo sempre presente di scadere nel banale o di sbagliare il ritmo narrativo. La costruzione è infatti sempre molto ben sorvegliata, gli eventi si dispongono bene sulla lunga durata e la sceneggiatura regge egregiamente, anche grazie alla presenza di una cornice (altro elemento topico di Dolan) che commenta e chiude il film. L'unica nota un po' dolente sta proprio nell'ultimo scambio dialogico - piuttosto banale per essere un finale - ma, dopo un film così ben fatto è davvero una questione di poco conto.

Come abbiamo già avuto modo di notare per i titoli precedenti, la fotografia è ottima ed evidenzia uno sviluppo linguistico di Dolan, che è ormai pienamente padrone dei mezzi espressivi che utilizza. Rimangono alcuni relitti delle sue precedenti creazioni (come il primo "in negativo" che si effettua riprendendo le teste di spalle, tipico di Les amours imaginaries) ma la novità è che questi elementi ora non sono più una sorta di autocompiacimento estetico (piacevole ma, a volte, piuttosto fine a sé stesso) ma sono sempre subordinati alla comunicazione di un portato narrativo o extra-narrativo ben rintracciabile. L'abilità registica si vede poi nell'utilizzo di tutta una serie di elementi sintattici molto ben costruiti sia a livello di inquadratura che a di montaggio; si usano inquadrature diverse, slittando senza frizioni sensibili attraverso vari stili di realizzazione. La massima prova di tutto ciò sta nel fatto che Dolan è riuscito a inserire perfino un'interpellazione allo spettatore, in pieno stile moderno (il che oggigiorno è piuttosto raro). 

Un ultima nota va senza dubbio data al comparto musicale, sempre centrale nei film di questo cineasta canadese. Come in Les amours imaginaries si riscontrano diversi brani attinti dallo stile indie-rock (?) che di solito vengono utilizzati in corrispondenza dei pezzi più estetici. A questo repertorio va aggiunta un'ampia selezione (più ampia che in passato) di pezzi classico-sinfonici, che il regista piega magnificamente in alcune sequenze molto piacevoli anche se non narrativamente utili ai fini del procedere della storia. 

Ci sarebbe molto altro da dire su questa pellicola. Per concludere mi permetto di segnalare come Laurence si inserisca perfettamente nell'alveo scavato dai due precedenti film per tematica, idea di fondo etc. Quest'ultimo lavoro fra l'altro sembra veicolare un'idea meno pessimista del rapporto interpersonale mediato dal genere, portando a compimento una parabola di pacificazione che forse apre uno spiraglio di luce sulla nostra contemporaneità. In effetti Dolan, con la sua storia di Laurence Alia (significativamente neutro plurale dell'aggettivo latino alius, altro) sussume una vicenda che è comune quando non universale. Non si vogliono fare eccessivi panegirici al regista, ma questa trilogia d'esordio sembra essere la voce che narra delle vicende dell'oggi (o dell'immediato passato) con disincanto e senza banalità. Walter Benjamin diceva che la storia si fa per chi nel passato è morto senza avere voce, per redimerlo e per narrare la sua vicenda e; di queste storie senza voce, Laurence Alia è il simbolo più eloquente
VOTO: 9.50/10

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