lunedì 27 maggio 2013

August underground



August underground di Fred Vogel - Genere: horror - USA, 2001

Il sottotitolo sulla locandina di questo film, realizzato con il ridottissimo budget di duemila dollari, recita "Il film più perverso mai realizzato?". Ci sarebbe lungamente da discutere su questa definizione; è un campo in cui è molto difficile formulare un giudizio proprio perché l'idea di perversione e di trauma della sensibilità individuale è fortemente soggettivo. Secondo me la domanda che bisognerebbe porsi dopo aver visto i settanta minuti scarsi di questo lavoro, primo episodio di una trilogia costato a Vogel anche una permanenza in prigione, è se si tratti di un vero e proprio film. 

August underground invita a riflettere sulle condizioni necessarie e sufficienti perché la propria pellicola possa essere effettivamente considerata un prodotto cinematografico. Le caratteristiche di questa prima fatica di Vogel rendono ragione della mia perplessità: praticamente manca quasi del tutto l'impianto narrativo e, con ripresa a mano instabile e massimamente amatoriale, l'anonimo complice del serial killer segue le peripezie dell'amico e le sevizie che lo psicopatico compie sulle sue malcapitate vittime. Manca quasi completamente anche il montaggio, che si accontenta di giustappore fra di loro grossi frammenti di girato che non mi sento di definire piani-sequenza, dal momento che non si concludono con la conclusione di un frammento narrativo elementare (proprio perché di tali frammenti il film non è costituito). 

La fotografia è, in linea con l'immagine amatoriale del film, è praticamente assente; la qualità spesso sgranata dell'immagine e l'insicurezza manuale con cui sono condotte le inquadrature si porta dietro l'impossibilità di poter parlare di una vera e propria riflessione sulla composizione, proprio perché è probabile che questa riflessione non ci sia proprio stata. L'unica cosa per cui il film di Vogel mi sembra meritevole di una qualche attenzione è per lo statuto etico dell'immagine. La sola qualità che trovo in questo gigantesco pasticcio "cinematografico" è l'idea che quello che lo spettatore vede potrebbe essere reale.

Le sevizie a cui Peter (il serial killer) sottopone le sue vittime sono al limite del feticismo: necro-antropogafia, coprofagia, mutilazioni, ferite etc. Tutto questo è diretto da Vogel, che interpreta anche la parte del maniaco, con una autocoscienza preoccupante, che non può non instillare in chi guarda il dubbio che ciò che vede sullo schermo sia successo realmente, che la violenza messa in scena sia stata realmente compiuta. E' un dubbio pericoloso, che comunque dà un qualche spessore a un prodotto assolutamente deprecabile sia da un punto di vista estetico che da un punto di vista contenutistico.
VOTO: 3/10

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