giovedì 9 maggio 2013

Dark Water (2002)



Dark Water di Hideo Nakata - Genere: thriller - Giappone, 2002.

Basato su uno dei racconti dell'omonima raccolta di Koji Suzuki, il film ne è il primo adattamento cinematografico, da non confondersi con il discutibilissimo remake americano fatto qualche anno dopo. Come per l'adattamento di The Ring (altra fortunata creazione letteraria di Suzuki), la regia è di Hideo Nakata, che con il suo adattamento del celebro romanzo è riuscito a cambiare le sorti di un intero genere e a creare il fenomeno dei primi anni duemila (qualcosa di paragonabile a Paranormal Activity quanto a risonanza, ma senza dubbio migliore per quanto riguarda la qualità).

L'accoppiata regista/romanziere aveva già funzionato e questo film non fa altro che confermare le aspettative: siamo di fronte a uno dei più bei film thriller (o horror, a seconda di come lo si intenda) che io abbia mai visto. Ciò che il regista riesce a fare, sfruttando magnificamente tutti gli elementi del linguaggio cinematografico che conosce, è trasmetterci delle sensazioni empatiche nei confronti della vicenda narrata; tutto è sapientemente calcolato con il solo fine di suscitare la nostra emozione, che sia paura, ansietà o semplice partecipazione. Il grande pregio di questa pellicola, oltre all'originalità della storia (ovviamente commisurata all'anno di produzione) e all'alta qualità della trasposizione (che si mantiene fedele all'originale, mantenendone cioè il quid), sta soprattutto nella caratterizzazione della protagonista femminile.

Pochi tratti sono sufficienti, qualche pennellata che viene dalla sceneggiatura, dalle inquadrature o dalle scelte cromatiche, per comunicarci tutta la storia di una donna sola, terrorizzata all'idea di perdere la figlia, una donna di cui ci viene detto molto poco (ma quel poco basta per farcene apprezzare l'umanità). La fragilità del personaggio si riverbera su tutto un microcosmo ambientale rappresentato con una sensibilità registica assolutamente fantastica. La fotografia e i cromatismi delle inquadrature sono freddi, cupi, umidi e confezionano veri e propri momenti visivi puramente estetici. 

Nel complesso un film assolutamente fantastico, che meriterebbe di essere visto praticamente da chiunque per la particolare modalità di resa della diegesi. Il finale è la vera e propria summa di tutte queste modalità e unisce a tutti gli elementi già delineati una sensibilità tutta orientale per il rapporto con la figura genitoriale e con i trapassati. Consiglio fra l'altro anche la lettura dei racconti di Koji Suzuki, tutti molto belli e tutti potenzialmente degli ottimi film.
VOTO: 9/10

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