giovedì 2 maggio 2013

Dream Work



Dream work di Peter Tscherkassky - Genere: sperimentale - 2001

Dream work, ovvero il cinema artigianale. Sì perché questo, come gli altri lavori del noto regista grande sperimentatore dei limiti della visione presuppone necessariamente una concezione del film strettamente legata al dominio e alla modifica di un supporto materico, incarnatosi nella pellicola. Tscherkassky compone un film prendendo pezzi di altre piccole, lavorandoci sopra meticolosamente con sovrapposizioni e altre amenità che danno all'intera composizione l'aspetto violento che la contraddistingue.

Inutile quindi parlare di trama o di sceneggiatura, naturalmente assenti in un film che pure durando soltanto poco meno di dieci minuti, si offre allo spettatore come un enorme manifesto sulle possibilità e sui limiti espressivi del mezzo cinematografico. Ellittico, criptico, a tratti perfino astratto, Dream work è un inno al cinema come mezzo di comunicazione mediata fra individui, in questo caso un regista e il suo pubblico. E' un cinema che rifugge dalle categorizzazioni e dalla comprensione del pubblico di massa, è - in un certo senso - l'anticinema pur riuscendo a mantenere intatte le peculiarità che distinguono la settima arte dalle altre sei. 

Oltre a questo non c'è molto da dire, essendo Tscherkassky un regista tanto complesso - nonostante la brevità dei suoi lavori - da risultare difficilmente imbrigliabile nella lunghezza media di un post. Vanno almeno citate le splendide rayografie che il regista realizza seguendo l'esempio di Man Ray ed esponendo sulla pellicola degli oggetti. In questo caso si tratta di chiodi e puntine che, in conformità con tutto il messaggio del film, rappresentano idealmente l'organo sessuale maschile e femminile in congiunzione copulativa. 

Il tutto culmina con una sequenza a dir poco geniale in cui il regista, mettendo in mostra sé stesso, con le sue nude mani che lavorano sulla pellicola, rompe del tutto il tradizionale senso di aurea sacralità che investe l'oggetto cinematografico. Il cinema non è il fuoco degli dei, ma un lavoro intimamente umano e profondamente artigianale che Tscherkassky si mostra nel suo dispiegarsi. Poi, il suono della sveglia. e il sogno del cinematografo finisce. Una chiusa che oggi, a più di dieci anni di distanza, si tinge di un colore drammatico, del colore di chi sa che un cinema come questo - dopo l'avvento del digitale- non è (quasi) più possibile.
VOTO: 10/10

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