mercoledì 7 maggio 2014

Sonatine



Sonatine di Takeshi Kitano - Genere: drammatico - Giappone, 1993

Mi sono sempre trovato estremamente colpito dal cinema giapponese e più in genere orientale: il mio amore per Kim Ki-duk e l'insana passione per Takashi Miike saranno certamente note ai lettori di questo blog. Eppure il mio primo approccio con Takeshi Kitano, notissimo cineasta nipponico riportato in quasi tutte le storie nazionali della settima arte, è stato piuttosto problematico. Forse le mie aspettative erano sbagliate e certamente non sono riuscito a comprendere fino in fondo ciò che Sonatine significa e rappresenta; di certo una più completa conoscenza della filmografia di Kitano mi aiuterebbe nell'impresa e senza dubbio i suoi sono film che desidero recuperare al più presto. Eppure, Sonatine per me è un film irrisolto, incompleto, forse troppo criptico per una esegesi matura, almeno attualmente. Spesso si dice che i critici hanno torto o ci vedono poco chiaro e molte volte posso essere d'accordo. Ma se critica e pubblico sono concordi nel ritenere che un film sia meritevole e io in quanto spettatore letterato non lo ritengo tale, qualche domanda vale la pena di porsela, per quanto il giudizio rimanga immutato. Nel caso specifico credo di non essere riuscito a entrare nell'ottica giusta, oppure di non aver guardato con sufficiente attenzione. E' senza dubbio un peccato.

Quel che è certo è che Kitano è riuscito ad aprire alla riflessione (meta?)cinematografica una trama piuttosto scontata come quella della crime story all'orientale, abbandonando progressivamente la fascinazione di una narrazione forte a favore di una diegesi fredda, molto evocativa ma estremamente debole e dilatata sino all'inverosimile. Gli uomini di Murakawa passano con il loro capo delle giornate vuote, in attesa che il loro destino si compia. Il tempo qui si allunga all'inverosimile e lo spettatore non può che seguire con un certo sconcerto le pantomime assurde che gli yakuza mettono in scena su una spiaggia bianchissima e quasi irreale. Di certo siamo di fronte a un'opera fastidiosa, disarmonica, ruvida e difficile da comprendere. Inoltre sono assolutamente certo che dietro alla diafana camicia di Kitano (qui anche attore oltre che regista), alla granitica inconsistenza della sabbia al di fuori del tempo, sia ben presente un lampo di genialità che non sono ancora riuscito ad assimilare. Come per alcuni film di Lars von Trier, spero di arrivare a comprenderne pienamente il senso e la grandezza. Per ora, il giudizio non può che rimanere parzialmente sospeso.

VOTO: 7/10 

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