martedì 20 maggio 2014

Cloverfield



Cloverfield di Matt Reeves - Genere: fantascienza - USA, 2008

Penso di aver perso il conto dei film a soggetto catastrofico che negli ultimi sei o sette anni hanno invaso le nostre sale cinematografiche. Al di là del fatto che senza dubbio questa diffusione di una tendenza comune e non unicamente statunitense rappresenta un segno dei tempi, di una prima decade del XXI secolo che si è rivelata, sin da subito, strettamente legata al tema della distruzione di massa, al rischio dell'annientamento inaspettato. La locandina di Cloverfield, film campione d'incassi del 2008, potrebbe tranquillamente sembrare un'immagine post-undici Settembre, magari immaginando il caso in cui le conseguenze avrebbero potuto essere più elevate e importanti. Ma come è noto, spesso i film vincenti al botteghino, al di là di un evidente interesse sociologico (perché il film è piaciuto così tanto? quali corde tocca nella nostra contemporaneità?), spesso sono piuttosto carenti dal punto di vista dell'appeal tecnico ed estetico. Questo per me, al di là di alcune recensioni positive, è il caso in esame.

Al di là di una trama piuttosto scontata - dopotutto non mi aspettavo niente di diverso da un film di questo genere - in particolare mi hanno infastidito due cose: la costruzione dei personaggi e lo stile di regia. Preciso subito invece che gli effetti speciali sono molto validi, soprattutto per quanto riguarda i misteriosi invasori che mettono a ferro e fuoco New York. Dunque, per quanto riguarda la costruzione dei personaggi, non posso dire che in generale si tratti di una scelta sbagliata, ma di una completa mancanza di iniziativa: mi spiego; in tutti i film di questo tipo, a partire almeno dai pieni anni Novanta, quasi tutti i personaggi sono costruiti nello stesso modo. Ce lo conferma il fastidioso eroismo del protagonista, ennesima riproposizione di un modello piuttosto stantio di uomo americano medio (già fastidioso ai tempi de La guerra dei mondi, per quanto mi riguarda). Si potrebbe anche dire che il finale garantisce un certo margine di originalità, ma se si scava un po' nella filmografia degli ultimi anni si scoprirà che non si tratta di qualcosa di così innovativo, anzi di piuttosto inflazionato per i miei gusti.

Per quanto concerne lo stile, è ormai piuttosto noto che la ripresa con camera a mano per me è diventata un insopportabile cliché del cinema contemporaneo. Intendiamoci: a partire da Paranormal Activity, ma con importanti prodromi, si usa praticamente qualsiasi scusa per inserire a forza nei film la scusa della videocamera e poi tutto il film viene ripreso in soggettiva. La cosa può anche essere accettabile, ma solo nel caso in cui la compenetrazione fra cinema e videoripresa sia completa, come accadeva già in The Blair witch project. Questo invece non è il caso: la ripresa a mano diventa una semplice cornice appiccicata a forza e senza nessuna problematicità sulla macchina da presa, il che testimonia una grave mancanza di attenzione a un dettaglio certo non marginale.

Nel complesso per quanto mi riguarda siamo di fronte a un film che, per quanto non assolutamente disdicevole, presenta dei gravi difetti di sviluppo teorico. Considerando però la buona fattura del settore di intrattenimento, mi sento di consigliarlo in ogni caso a chi cerca una visione all'insegna del disimpegno; sotto questo profilo la resa è garantita.

VOTO: 4/10 

Nessun commento:

Posta un commento