lunedì 28 aprile 2014

Quattro mosche di velluto grigio



Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento - Genere: thriller - Italia, 1971

Con questa recensione si chiude la Trilogia degli animali diretta da Dario Argento. Inaugurata dal bel L'uccello dalle piume di cristallo e proseguita con il discutibile Il gatto a nove code, è la serie di film che più di tutti ha contribuito a fondare il genere del giallo all'italiana, che ha avuto una notissima diffusione e fortuna e che meriterebbe di essere rivalutato anche in sede critica più di quanto non si faccia. Per quanto io appartenga più al gruppo degli estimatori del sottovalutatissimo Lucio Fulci e non sia un amante degli argentiani, devo riconoscere che l'inizio e l'epilogo della trilogia sono senza dubbio interessanti. Sebbene con minore freschezza rispetto a quanto mostrato ne L'uccello, qui Argento riesce ancora a proporre uno stile libero e veloce, fatto di inquadrature fortemente influenzate dal cinema moderno. 

Ambientato a Roma, location tipica del regista, il film si sviluppa attorno ai temi più cari ad Argento, senza farsi mancare neppure il riferimento all'omosessualità, questa volta incarnata dal detective privato Arrosio. E' probabile che sotto il profilo della queer theory la scelta di Argento potrebbe essere criminalizzata, per le modalità di rappresentazione, ma devo dire che tutto sommato l'effetto complessivo non è spiacevole e anzi garantisce a Quattro mosche di velluto grigio degli spazi umoristici che difficilmente è possibile trovare nelle produzioni del genere (men che mai nelle successive dell'autore) e che penso ne costituiscano uno dei tratti più interessanti. Risponde a questa esigenza anche il cammeo (decisamente più mediocre, in verità) di Bud Spencer, strappato al suo ruolo caratteristico da scazzotatore di saloon improvvisati.

Nel complesso Quattro mosche risolleva le sorti di una trilogia pesantemente affossata da Il gatto a nove code, vero e proprio fallimento stilistico e di struttura. Pur non trattandosi di un capolavoro assoluto, si tratta di un film del tutto dignitoso, infiocchetato anche da una serie di riferimenti eruditi che non spiacciono nonostante la loro autoreferenzialità. Senza dubbio uno dei migliori lavori di Argento dopo Profondo Rosso.

VOTO: 6.50/10 

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