lunedì 21 aprile 2014

Ichi the killer



Ichi the killer di Takashi Miike - Genere: thriller - Giappone, 2001

Takashi Mike è senza dubbio uno dei registi più controversi della cinematografia giapponese e, per alcuni suoi titoli importanti come Audition, pure uno degli interpreti più interessanti della contemporaneità. Ichi the killer è forse uno dei suoi film più noti; non particolarmente apprezzato dalla critica per motivi in parte condivisibili, la pellicola è presto diventata un vero e proprio prodotto di culto entro cerchie ben determinate di fans. Opera fondamentale per comprendere la poetica del regista e il suo rapporto alle cose, oltre che il suo modo di tratteggiare elementi fondamentali dell'animo umano, Ichi è utile addirittura per gettare luce su scelte apparentemente fuori registro della sua filmografia, come il già recensito Yattaman

Delirio ultrapop di una mente apparentemente malata, Ichi propone una struttura diegetica abbastanza tradizionale che si inscrive agevolmente nell'ambito del noir contemporaneo, una crime story di Yakuza che apparentemente potrebbe non avere troppo da dire: il rapimento di un capo mafioso dà il via a uno sviluppo drammatico che in realtà, pur mantenendo una salda compattezza narrativa, si arricchisce di tanti "piccoli" elementi incongruenti che ne costituiscono la fortuna. Il film è talmente gonfio di assurdità apparentemente convenzionali che a mio avviso illumina magistralmente quello strano gusto dei giapponesi per l'assurdo (e che è poi uno dei motivi per cui, almeno un certo loro cinema, o lo si ama o lo si odia; Mike ne è un classico esempio).

Solo a partire da questa considerazione si possono comprendere meglio e forse completamente tutte le sequenze ultraviolente che hanno contribuito a inserire il film nella classifica dei cinquanta titoli più disturbanti stilata da un noto sito di cultura popolare. Una tecnica registica praticamente magistrale si associa così a scene di tortura spinte sino al parossismo e a un gusto per il grottesco e l'atto dello smembramento che spesso supera il limite di sopportazione dello spettatore medio; a tutto ciò si aggiunge poi, integrandosi in maniera inaspettata ma del tutto naturale la sequela di piccole infiorettature pseudocomiche che costituiscono la cifra fondamentale, il gusto autentico del film. 

Nel complesso si tratta di un film molto bello dal mio punto di vista, anche se sono propenso a condividere alcune critiche dei più; di certo non si tratta di un lavoro che consiglierei a tutti. Bisogna essere abbastanza forti da accettare, nel giro di pochi secondi, di passare da un sorriso alla comprensione della grande tragicità sottocutanea che scorre ostinatamente lungo tutto il film, rivelando un lato esistenzialista che a prima vista si potrebbe non cogliere.

VOTO: 8/10 

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