domenica 16 febbraio 2014

Lady Vendetta



Lady Vendetta di Park Chan-Wook - Genere: drammatico - Corea del Sud, 2005

Leoncino d'oro a Venezia 62 e conclusione della Trilogia della Vendetta, di cui ho già recensito recentemente Oldboy, Lady Vendetta è l'estremo sviluppo delle tematiche del lavoro precedente, presentate però da un'ottica fondamentalmente diversa. Dopo aver raccontato nel film del 2003 un sovraccarico di odio, di livore distruttivo che rischiava di tramutarsi in sostanza autodistruttiva (il finale di Oldboy da questo punto di vista è estremamente significativo e colpisce proprio per la sua crudeltà nei confronti del protagonista e delle attese dello spettatore), Lady Vendetta racconta il desiderio di vendetta di una immateriale creatura femminile, che - come apprenderemo per la verità piuttosto presto - si è immolata per il bene della propria figlia e ora, spinta da un atavico desiderio di redenzione, ricerca il mezzo per espiare le proprie colpe. Soprattutto nella prima parte del film, per introdurre la vicenda, Park Chan-Wook utilizza gli stilemi registici già presentati nella sua fatica precedente, scompaginando la sequenzialità narrativa in un gioco di specchi che si richiamano a vicenda, entro una struttura a mosaico policroma e quantomai aperta. In un continuo andirivieni temporale lo spettatore ricostruisce in gran parte grazie a uno sforzo mentale la vicenda pregressa agli eventi raccontati nel film, per poi seguire in tutta la seconda parte di questo lavoro di circa 120 minuti, la ricerca del colpevole e il consumarsi della vendetta.

Personalmente avrei preferito che lo stile del film fosse più uniforme, anche considerato che il risultato era comunque molto piacevole. Nonostante questo, anche quando il dettato registico si fa più lineare e meno aperto Park Chan-Wook si mantiene su livelli di ricerca elevatissimi e riesce a coniugare senza difficoltà la presenza di una narrazione forte con un lavoro sull'immagine di grande impatto. La scelta dell'inquadratura è funzionale, soprattutto nei momenti più concitati, a veicolare un contenuto che integra o ripete metonimicamente quello dell'intreccio drammaturgico, facilitando al contempo la digestione della vicenda che, soprattutto nella sezione incipitaria potrebbe altrimenti risultare difficoltosa. Come sempre l'aspetto che si fa più apprezzare del film è senza dubbio quello "filosofico", anche se questo termine non mi piace particolarmente. La vendetta come mezzo di espiazione che la protagonista incarna getta una nuova luce sui concetti eticamente condivisi (è giusto punire un omicida al di fuori della giustizia istituita?), una luce che è quella che promana proprio dal viso della Lady, attraverso un espediente dal sapore quasi surrealista (ne avevamo visti parecchi anche in Oldboy). Il risultato è che alla morale dell'uomo sembra sostituirsi quella "dell'angelo (della morte)", per la quale anche agire in deroga all'ordine costituito è legittimo, se il risultato è la purezza. 

Non è allora un caso se il colore principe delle sequenze terminali del film è il bianco, quello della neve che cade, coprendo le cose pur evidenziandole e quello del tofu, moderno "pane del perdono" che la protagonista sbrana voracemente, quasi a contraltare del "rito di smembramento" che si era consumato poco prima. Il bianco diventa il colore della cancellazione, del nuovo inizio, della firma conclusiva ma non annullante posta a suggello di un film che - ancora una volta - marchia col sangue la sua immagine nella mente dello spettatore, che finisce con l'essere morbosamente attratto dal suo fascino avvolgente e, perché no, un po' malato.

VOTO: 8/10

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