lunedì 24 febbraio 2014

Bastardi senza gloria



Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino - Genere: drammatico/storico - USA, Germania, 2009

Bastardi senza gloria è da molti considerato il capolavoro di Tarantino. Se si interpreta in senso metacinematografico l'ultimissima battuta del film, come credo si debba fare, è probabile che anche lo stesso regista lo consideri tale. A ragione: se in un film come Pulp Fiction ho apprezzato la libertà stilistica e in un lavoro come Kill Bill non ho potuto non notare con ammirazione la capacità di gestire un prodotto profondamente intermediale, davanti a questa produzione del 2009 non posso certo esimermi dal riconoscerne l'assoluta straordinarietà. Tarantino riesce a riscrivere la storia in modo originale e non ingenuo; la cosa ha dell'eccezionale proprio considerando che la Seconda Guerra Mondiale è uno degli eventi cardine del Novecento, essenziale anche per comprendere la nostra condizione attuale. Narrarla conduce quasi sempre alle sterili semplificazioni o al sentimentalismo esasperato: entrambi pericoli da evitare, sopratutto in ambito cinematografico, se si vuole creare un prodotto di un certo livello. Tarantino ci riesce, utilizzando come suo solito uno stile eclettico e originale che, pur radicandosi all'interno di una discorsività ben collaudata, riesce a risultare piacevole e sempre nuovo per quanto riguarda la ricombinazione degli stilemi utilizzati. Quando mi trovo di fronte a film come questi emerge in tutta la sua evidenza il problema della recensione che, per sua natura, dovrebbe suggerire al lettore una serie di elementi di giudizio che possano indirizzarlo prima della sua visione o guidarlo a un'occasione di confronto dopo averla effettuata. Il problema con un prodotto come Inglorious bastards sta proprio nel fatto che è difficile scegliere un punto di vista che possa riassumere la complessità del lavoro tarantiniano: si potrebbe parlare del discorso metacinematografico, del ruolo del film all'interno del percorso espressivo del regista o di molte altre cose. Ogni approccio sarà comunque parziale; l'invito, prima di procedere nella lettura, è quello di vedere il film, bellissimo.

Per parte mia vorrei proporre un breve spunto di riflessione che, lo ripeto, temo esorbiterà dal tono e dall'ambito caratteristico della recensione. Guardando le immagini sapientemente orchestrate da Tarantino è difficile non richiamare alla mente le tesi Sul concetto di storia di Walter Benjamin, significativamente scritte poco prima del suicidio dell'autore, avvenuto proprio per evitare il rischio di cadere in mano ai nazisti. In una ventina di pensieri criptici e a tratti quasi epigrafici, Benjamin compendia la sua filosofia della storia, opponendo alla visione progressista che aveva dominato la modernità (e che - per inciso - aveva portato alle due Guerre), la necessità di una storiografia della discontinuità, diremmo quasi dell'intervallo. "Spazzolando la storia contropelo" Benjamin cerca di dare un senso alle macerie generate dalla follia dello storicismo e dall'ubriacatura tecnocratica che ha caratterizzato i primi decenni del Novecento. Ai racconti trionfalistici dello storicismo post-hegeliano Benjamin oppone una nuova linea di ricerca, che ribaltando le gerarchie e le prospettive prevalenti riscrive la storia indagandone i recessi e gli episodi marginali. Allo stesso modo Tarantino riscrive la storia, ribaltando non solo i canoni narrativi attuali, ma anche le caratterizzazioni dei personaggi, arrivando anche ad inserire frammenti grottesco/parodici entro una materia tanto delicata (la commozione di Gobbels, alcune battute di Hitler). A differenza di quanto si potrebbe pensare, non si tratta di una semplice provocazione (anche se una componente di polemica è sempre presente in Tarantino), ma di una nuova e lucida capacità di condurre un interessante discorso sul senso della storia, in un'epoca dove ormai la memoria sembra essersi appannata. Ma questo è solo un suggerimento. 

VOTO: 10/10

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