mercoledì 12 febbraio 2014

A History of Violence



A History of Violence di David Cronenberg - Genere: thriller - USA, 2005

Di Cronenberg ho visto alcuni film, di cui ho dato notizia su questo blog, ma senza soluzione di continuità. Contrariamente a quanto si dovrebbe pretendere da ogni buon critico non ho affrontato la sua opera in maniera completa, ma quantomai discontinua, privilegiando i capolavori (Videodrome) o i film più noti che mi avevano incuriosito (Cosmpolis). Forse l'idea di colmare le lacune continuando in questa peregrinazione disordinata non è ottimale, ma in fin dei conti ogni film, per quanto legato alle altre opere del medesimo autore, è qualificabile anche come un'opera singola, con le proprie specificità. E per fortuna, A History of Violence, pluricandidato film del 2005 che ha portato a casa in realtà ben poco per quanto la critica lo abbia elogiato, mi sembra un prodotto abbastanza atipico nel panorama cronenbergeano (che pure non conosco troppo nel dettaglio, come dicevo) per essere analizzato senza troppe difficoltà. 

Devo dire che rispetto a film come Il pasto nudo, Crash o altri, ho trovato A History of Violence molto convenzionale nell'impianto stilistico e nel tipo di narrazione. Ho ritrovato Cronenberg certamente nelle atmosfere un po' stranianti nelle sue inquadrature e nell'efficacissima scelta di far partire il film "in sordina", con un efficace ritratto del sogno americano su cui irrompe (richiamo a Cosmpolis, ovviamente a posteriori) l'inquietante profilo della limousine nera. La vicenda si sviluppa piuttosto linearmente in luoghi che si fanno progressivamente più freddi e defamiliarizzati anche dal punto di vista cromatico (gli ambienti si spengono, diventano lividi e mortiferi, come di riflesso alla riemersione di Joy dalle profondità di un buon Viggo Mortensen). Tutto il film in effetti, come altri titoli di successo degli anni zero, orbitano attorno alla scissione psicologica, alla duplicità intrinseca dell'individuo, che esplode in comportamenti potenzialmente pericolosi di cui il protagonista sembra essere inconsapevole. 

Tutto molto interessante, sviscerabile sino alla nausea con le armi affilate della critica psicanalitica. Eppure ho trovato infelici le scelte di ritmo (tutta la seconda parte del film, quella che segue il riemergere della personalità nascosta del nostro "eroe americano" viene condensata in una conclusione che ha un che di affastellato) e l'ultimissima sequenza del film, che si vuole forzatamente irrisolta ma il cui esito possiamo facilmente intuire dalle movenze dei personaggi. Se tutto è così chiaro, perché negarne la logica conclusione solo per il gusto di insinuare nello spettatore un dubbio? Personalmente, per quanto non ami Lynch, ho trovato molto più interessante la soluzione da lui adottata in Mulholland Drive per la gestione del cambio di registro narrativo/di personalità; quello che fa Cronenberg invece mi sembra decisamente più accademico, forse troppo.

Di fatto il film è piacevole e ben realizzato entro uno stile che però non lascia ampio margine alla ricerca formale. Senza dubbio un thriller buono, che non tiene molto con il fiato sospeso ma si lascia guardare senza difficoltà. Eppure da Cronenberg mi sarei aspettato molto di più.

VOTO: 6.50/10

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