mercoledì 25 settembre 2013

L'odio



L'odio di Mathieu Kassovitz - Genere: drammatico - Francia, 1995

Pluripremiato film del francese Mathieu Kassovitz, già autore del fortunato I fiumi di porpora, recensito insieme al suo sequel su questo blog, L'odio è un film certamente più impegnato tanto da un punto di vista etico quanto da un punto di vista tecnico-formale rispetto al precedente analizzato. Una giornata nelle banlieu francesi, da sempre territorio di scontro fra le frange più eversive della popolazione giovanile e l'ordine costituito, diventa tragica metafora delle contraddizioni di un mondo in costante involuzione, che precipita sotto gli occhi distratti di spettatori spesso assenti nella spirale della dimenticanza. Il merito di Kassovitz è proprio quello di essere riuscito a riprendere questo magmatico ribollire di tensioni con uno spirito quasi giornalistico, attento a non prendere una posizione ben chiara nonostante il terzetto di protagonisti appartenga chiaramente a uno solo dei due mondi in conflitto.

Il trio di debosciati svogliati e costantemente sul piede di guerra, su cui spicca il personaggio ben interpretato da un Cassel convincente anche se a volte un po' didascalico, è infatti spesso talmente lanciato nella sua operazione suicida contro il sistema che non si può fare a meno di provare una certa antipatia per questi individui. Lo spettatore ha la capacità e la distanza per vedere le ragioni di ambedue le parti in causa e questo rende fastidiosi e stridenti i continui assalti che i ragazzi di periferia mettono in pratica, apparentemente solo per il gusto di fare rivoluzione. Nessun giudizio morale viene espresso, nel senso che non si prende posizione nel confronto sociale che L'odio rappresenta molto bene; alla fine, e l'expicit in questo caso è fondamentale, rimane solo un vasto senso di solitudine e la coscienza - come si legge in molte recensioni che parafrasano una felice battuta - che "l'odio porta sempre altro odio".

Il dettato registico è sorvegliatissimo e attento, cosa che non può che confermare la scelta della giuria di Cannes '95, che ha premiato il film con il riconoscimento alla miglior regia. Lo stile di Kassovitz è meno maestoso e televisivo di quello adottato per I fiumi di porpora e qui emerge in tutta la sua efficacia una retorica della discontinuità che sembra fondare i nessi fra le inquadrature non tanto sulla trasparenza, quanto più sulla libera connessione tematica, cosa che emerge soprattutto nei titoli di testa e comunque nella primissima parte della pellicola. La scelta del punto di ripresa è sempre felice e appare il frutto di una riflessione ben chiara, cosa che è confermata anche dall'uso frequente e felicissimo di numerose interpellazioni (sguardi in camera), che chiamano direttamente in causa lo spettatore come costituente del significato ultimo dell'immagine. Una nota meritoria hanno anche le due sequenze, piuttosto brevi in verità, in cui l'universo mentale/immaginario di Vinz (Vincent Cassel) si mescolano in maniera molto felice.

In conclusione, un film decisamente valido che - fra l'altro - non risente assolutamente dei suoi quasi vent'anni e tratteggia con uno stile ricercato ma non barocco un panorama ancora oggi attuale.

VOTO: 8/10 

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