lunedì 23 settembre 2013

Il settimo sigillo



Il settimo sigillo di Ingmar Bergman - Genere: drammatico - Svezia, 1957

Che Bergman sia uno dei grandi geni del cinema mondiale è fuori discussione: lo abbiamo affermato con forza nella recensione de Il posto delle fragole e possiamo tornare a ripeterlo qui, nel successivo Il settimo sigillo. Nonostante le affinità di fondo, immancabile residuato di una coscienza autoriale ben sviluppata e coerente come quella bergmaniana, le due opere non potrebbero essere più diverse. Tanto Il posto delle fragole era un dramma intimista, che riguardava solamente l'anziano professore che aveva come protagonista, tanto Il settimo sigillo è una narrazione epico-escatologica che ha ambizioni universali in quanto dedicata al dramma dello scivolamento nell'abisso che riguarda tutti gli uomini. 

In un Medioevo immaginario ma materico lacerato dalla pestilenza, sospesa fra il pallore innaturale dei corpi affaticati dagli stenti e l'oscurità di un cielo mai completamente sgombro, si consuma una improbabile partita a scacchi fra un cavaliere crociato e la Morte. Attorno a questo leitmotiv si intrecciano le vicende dei protagonisti, dapprima divisi in due gruppi e poi uniti, per l'imperscrutabile disegno del fato. La bizzarra compagnia attraversa le campagne alla volta di un castello e nel suo peregrinare vede attorno a sé i segni tangibili della distruzione portata dalla peste e del delirio collettivo conseguente alla sua diffusione. In un modo sempre più disilluso verso il potere salvifico di Dio si distinguono invece degli individui che cercano la purificazione della carne: sono proprio questi intermezzi i più belli del film, proprio perché spingono lo spettatore a riflettere sulla sua condizione circa ciò di cui si discute. Lo scollamento sensibile fra la non-morale di alcuni dei protagonisti e la fede cieca di questi personaggi, disposti ad annientarsi in vista di una ricompensa maggiore, amplifica enormemente l'effetto di queste sequenze, che culminano nel rogo della donna accusata di stregoneria, probabilmente debitore dello straordinario La passione di Giovanna d'Arco di Dreyer. 

Su questo sfondo di oscurità entro il quale si sviluppa l'efficacissimo memento mori bergmaniano esistono però dei momenti di rottura, delle punte di ironia che permettono di riconsiderare la presenza del divino e l'immanentismo teologico che sembrerebbe animare il capolavoro di Bergman. E' proprio in questa dinamica di tendenze contrastanti, in questa sospensione incerta fra ironia e serietà che risiede, al di là degli indubitabili meriti tecnico-registici, la grandezza di un film che ancora oggi rimane uno dei più affascinanti della storia. 

VOTO: 9/10  

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