lunedì 16 settembre 2013

Harry a pezzi



Harry a pezzi di Woody Allen - Genere: drammatico, commedia - USA, 1997

Nelle pagine virtuali di questo blog ho più volte recensito film di Woody Allen, autore che ammetto di aver scoperto e cominciato ad apprezzare da poco. Harry a pezzi è il più maturo di quelli che ho visto fin'ora e conserva intatte alcune delle caratteristiche stilistiche del cinema alleniano, senza risparmiarsi alcune nuove trovate che ben si adattano, comunque, a quello spirito schizofrenico e un po'paranoide che caratterizza il periodare di questo regista. Anche in questo caso, come in molti altri, il nucleo tematico orbita attorno alla vicenda di un intellettuale outsider, fortemente fuori dagli schemi, che incarna e riflette la figura dello stesso regista, vero e proprio centro di irradiazione del suo cinema. Nevrotico, incline al tradimento eppure fortemente legato al ricordo, ateo e freddo nei confronti del rapporti umani, Harry è il classico esempio di un'umanità cinica e disillusa, elemento tipico del cinema di Allen.

La struttura di base ricorda molto quella del bel Il posto delle fragole, cosa che fra l'altro ci conferma l'amore di questo autore per il bergmanismo, tratto fondamentale di diversi suoi film. Harry sta per essere premiato dall'università che lo aveva cacciato e tutto il tragitto che il film ci porta a fare prenderà le sembianze di un ritorno alle origini a partire dal quale il protagonista intraprenderà un viaggio interiore per riconsiderare la sua esistenza. L'iter attraverso le insoddisfazioni e gli insuccessi di Harry si rifrangerà come in un sistema di specchi attraverso le creature che la sua penna ha creato, che mostreranno i chiari legami che legano la creazione artistica e la vicenda autoriale. Il camuffamento di personaggi ed eventi passa attraverso un linguaggio metaforico che riproponendo le stesse situazioni del mondo reale crea un diverso universo di possibilità: la virtù demiurgico-creatrice della scrittura e più in generale dell'atto artistico emerge dunque come uno degli assunti di base del film.

La formazione linguistica è quindi stratificata e spesso fortemente discontinua: la diegesi si compone grazie a un progressivo gravitare di detriti narrativi attorno al filone principale della vicenda: l'esistenza di Harry diventa quindi il centro propulsivo attorno al quale vengono attratti degli elementi che, presentati in discontinuità, mettono i due universi di riferimento in comunicazione e interscambio. Nel finale, a saldare definitivamente la connessione fra i due mondi interviene, come nel capolavoro bergmaniano, il mondo onirico che - con la sua capacità di travalicare il fenomenico - ricompatta gli elementi e irradia una speranza, mai prima presentatasi, sul destino del protagonista.

Il film è decisamente piacevole e ben strutturato ma, nonostante sia forse più ricercato degli altri film alleniani che ho recensito precedentemente, non mi ha convinto altrettanto. Siamo lontani, mi sembra, dall'intellettualistica drammaticità di Manhattan e ancor più dall'impreciso e scanzonato universo de Il dittatore dello stato libero di Bananas o di Prendi i soldi e scappa. Comunque un lavoro meritevole; sopratutto una valida alternativa alla mediocrità imperante del cinema comico, un melange dei generi e temi che complessifica l'immagine solitamente disimpegnata che viene data di questo tipo di film.

VOTO: 7/10 

Nessun commento:

Posta un commento