martedì 2 aprile 2013

Funny games (1997)


Funny games di Michael Haneke - Genere: thriller - Germania, Francia 1997

See it if you dare è la frase che compare su molte delle locandine di questo vecchio film thriller austro-germanico presentato in concorso al festival di Cannes 97. Mai frase fu più indovinata perché il lavoro di Haneke è fastidioso, duro, difficile da digerire e proprio in questo sta la sua forza. Tralasciando gli esiti infelici del remake (ovviamente americano) fatto in tempi più recenti, il film è assolutamente meritevole sotto tutti i punti di vista.

La diegesi è ridotta all'osso e, in questo caso, non è assolutamente un male. Un'impostazione molto semplice (ma non per questo grossolana) permette di potersi concentrare di più su altri aspetti della realizzazione, evitando anche che lo spettatore venga sballottato da una parte all'altra dal peregrinare narrativo. Questo permette al regista di inserire all'interno di questa trama a maglie larghe dei veri e propri lampi di genio, come le plurime interpellazioni che uno dei due malintenzionati ragazzi fa allo spettatore. L'azione si ferma, il volto dell'attore si gira verso di noi e ci parla direttamente: saltano tutte le regole del cinema classico e si riprende l'eredità della nouvelle vague francese (celebri le interpellazioni di Jean-Paul Belmondo nei film di Godard). Questo strumento linguistico peraltro crea una sovrapposizione percettiva ed etica con il regista. La decisione di inserirlo in un film come questo è quindi doppiamente intelligente.

Se infatti ci si domandasse che cosa c'è di così perturbante nel film di Haneke dovremmo ammettere che è la complicità del nostro sguardo, l'essere chiamati (direttamente dai personaggi!) a partecipare a un gioco di cui siamo, volenti o nolenti, pedine protagoniste. Tutto ciò che si vede è fatto per noi, il divertimento cui accennano i due effrattori è il nostro, quello degli spettatori che divorano immagini senza attenzione, mettendo in atto quella percezione disattenta che già Benjamin predicava nei suoi scritti. Nello stesso modo va letta anche la sequenza in cui Tom modifica a posteriori il corso degli eventi, mandando indietro le immagini come se il film che stiamo guardando non fosse altro che una videocassetta da salotto. Le immagini sono manipolabili non solo dall'esterno ma anche dall'interno e si rivelano per ciò che sono in realtà, un prodotto concreato dal lavoro sinergico di diegesi, regia e spettatore. 

Un film decisamente riuscito che forse non è riuscito ad emergere nell'opinione del grande pubblico come un prodotto intelligente che non si chiude sul mero stereotipo di genere. Un peccato, considerati anche i tentativi di sperimentazione sul rapporto immagine/musica, presenti soprattutto nella prima parte del film. 
VOTO: 8.5/10

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