venerdì 12 luglio 2013

Che fai, rubi?



Che fai, rubi? di Woody Allen - Genere: commedia - USA, Giappone, 1966

Primo film di Woody Allen, Che fai, rubi? è un gigantesco esperimento cinematografico sul ruolo dell'autore nell'epoca della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, come avrebbe detto Benjamin. La sperimentazione alleniana tocca qui vette insuperate: il regista si appropria di un film già esistente (il giapponese La chiave delle chiavi), che mantiene inalterato nel comparto figurativo ma che sceglie di ridoppiare scrivendoci sopra una commedia. Già questo è sufficiente per far saltare quella corrispondenza biunivoca e troppo spesso auratica che lega l'autore-genio alla sua opera. Questo film non è di Woody Allen, che nonostante ciò se ne dichiara il regista sia a livello commerciale (il film è di Woody Allen, si legge nelle locandine e sui DVD) sia a livello narrativo (la cornice della pellicola ce lo conferma). La manifestazione dell'autorialità passa attraverso lo scippo intellettuale, che diventa per Allen giocosa riscrittura di un genere non sufficientemente autoironico.

La vera genialità del film, quello che insomma ci può far dire che Che fai, rubi? non è La chiave delle chiavi e di riconoscerlo come appartenente alla produzione alleniana, sta proprio in quel rovesciamento assurdo e fortemente parodico che il regista mette in piedi nei confronti della tradizione 007 in cui il film giapponese defraudato si localizza. L'impostazione spionistica di fondo viene mantenuta, ma viene decostruita ridicolizzandola dall'interno: l'oggetto del contendere di questa favola rivestita di piombo non è una pericolosa arma atomica o simili, ma la ricetta di un'insalata di uova. Attorno a questo motore orbitano tutte le situazioni fortemente didascaliche ma intimamente irreali del film, che grazie alla riscrittura del comparto dialogico raggiungono una comica assurdità.

Nel suo primo film Allen rimane dunque in disparte, non agisce in prima persona diventando il protagonista assoluto del suo lavoro, lo snodo centrale di un complesso quasi teatrale dove lui è unico protagonista. Qui sceglie di rimanere in ombra, ma già in questa prima fatica si intravedono le cifre del suo stile. Sono comunque da segnalare i momenti in cui si registra il suo intervento, come nell'interruzione del film con ritorno alla cornice (funzione puramente discontinua e non narrativamente funzionale), il finale in cui decide di rivolgersi direttamente allo spettatore e soprattutto la sequenza delle mani, dove le mani del regista intervengono fisicamente sulle immagini, muovendole e agendo plasticamente sul loro supporto fisico, materializzato sullo schermo. Anche qui si tratta di discontinuità in atto, che decide però di nascondere il suo valore quando la comicità di Allen lo "costringe" a sdrammatizzare anche questo processo, mostrandoci il gioco delle ombre cinesi.

Una dichiarazione d'intenti chiarissima, che rende ragione di alcune scelte cinematografiche successive, ma che vanta anche una vena sperimentalista che non ho più ritrovato nel cinema alleniano successivo. Un esperimento da riscoprire.
VOTO: 7.50/10 

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