sabato 12 ottobre 2013

Bling Ring



Bling Ring (The Bling Ring) di Sofia Coppola - Genere: drammatico - USA, 2013

Film di apertura della sezione Un certain regard di Cannes 2013 e ultima fatica della apprezzatissima Sofia Coppola, The bling ring è stato un film enormemente discusso dal momento del suo arrivo nelle sale italiane, con un bombardamento mediatico decisamente importante e con il relativo precipitarsi in sala di fiumi di spettatori attratti dal lato glamour della vicenda raccontata e dalla presenza della fortunata Emma Watson, che aveva già dato una buona prova di sé in Noi siamo infinito. Che la Coppola si sia interessata, nel corso della sua carriera, all'adolescenza e ai meccanismi esistenziali che questa fase innesca nei suoi protagonisti è un dato di fato; impossibile non ricordare a tal proposito il suo lavoro d'esordio (Il giardino delle vergini suicide), che proponeva in maniera efficace un nuovo schema di formazione che, nell'ambito della dinamica fra Eros e Thanatos, conduceva a uno sviluppo dei suoi diafani protagonisti.

Per certi versi, assistiamo a un recupero almeno parziale delle stesse atmosfere anche in questo nuovo The Bling Ring, anche se la citazione è accompagnata da un consistente rovesciamento di senso. In effetti l'ultima opera della Coppola appare statica e rigidamente antievolutiva; questo di per sé non è necessariamente un male, ma per come sono state condotte l'orchestrazione dell'opera e la gestione della sceneggiatura, vale certo la pena di chiedersi quale sia il senso di tutta questa pellicola. Da una parte potrebbe essere ammissibile ritenere che la regista abbia voluto rappresentare la vacuità dell'esistenza di un drappello di giovani che, svuotati dei valori minimi dalla voracità della società consumistica, si ritrovano a ricercare la loro possibilità di realizzazione nell'appropriazione (indebita) di feticci materiali altrui. Da questo punto di vista Bling Ring diventerebbe la massima rappresentazione di una mitografia della celebrità che fa dell'immagine in sé un valore di rappresentazione: le celebrità svaligiate dal quintetto di protagonisti non hanno altro da offrire se non la possibilità di farsi guardare e questo solo elemento, per la conformazione valoriale della società rappresentata, basta ad assicurare solo un valore auratico/cultuale di cui l'oggetto si fa materializzazione evidente.

Walter Benjamin diceva che dello sport, così come del cinema possono parlare tutti quanti; quest'affermazione in effetti riproduce bene una delle problematiche e nel contempo degli aspetti più interessanti sul discorso cinematografico. La teoria interpretativa sintetizzata poco sopra, sposata da critici insigni e da tanti dilettanti come il sottoscritto, non è che l'evidenza delle infinite possibilità che un film come Bling Ring offre di imbastire teorie che, per quanto mi riguarda, non sono altro che un tentativo di giustificare a posteriori l'opera coppoliana, arrivando in alcuni casi anche a paragonarla a Springbrakers, oggetto di ben altra levatura ma dalle tematiche in qualche modo assimilabili. Duole un po' dirlo, ma bisogna ammettere che la prova registica offerta da Sofia Coppola è, nel caso di Bling Ring, particolarmente infelice. 

Al di là di una sceneggiatura che alterna momenti di prevedibilità estrema riavvolgendo continuamente la narrazione su sé stessa nell'eterna ripetizione di situazioni formalmente equivalenti con ingenuità di scrittura che certo non ci si sarebbe aspettati da un film presentato al Festival di Cannes, il grave problema del dettato di The Bling Ring è il ruolo dello spettatore. La regia dispone infatti gli elementi della comprensione in maniera ridondante, in modo che al pubblico non sia lasciata neanche la più elementare operazione di elaborazione interpretativa: tutto è spiegato con una chiarezza quasi fastidiosa, anche quando non ce ne sarebbe stato alcun bisogno. Oltre a questa difficoltà non certo marginale è possibile individuare tutta una serie di veri e propri errori di gestione dei rapporti fra immagine e comparto sonoro e un utilizzo decisamente inadeguato della pluralità dei registri mediali (mi riferisco alle scene in cui la regista interpola il film con materiale filmato di repertorio, immagini e schermate dai social network). 

Il tutto porta alla definizione di un prodotto prevedibile e trascinato, sopratutto nella parte finale, da una retorica della narratività banale che solo in alcuni punti sembra venire parzialmente meno; purtroppo si tratta di pochissime sequenze in cui, anche se in maniera non sempre felice (l'uso eccessivo di brani rallentati ne è un esempio) che non modificano in linea di massima l'impressione generale che ho esposto nelle righe precedenti. Posso convenire con chi dirà che esistono film certamente peggiori di questo, ma da una pellicola presentata a Cannes, che ha prodotto una discorsività così forte intorno alla sua uscita, il livello che ci si aspetta è decisamente superiore. 

VOTO: 4/10 

1 commento:

  1. Non deluso come te, ma mi è sembrato un film ancora più vuoto dei suoi protagonisti - per quanto la scena finale sia bella potente. Poi la Coppola, parodiando le star e poi invitandole a fare dei cammei, sputa un po' nel piatto in cui mangia

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