martedì 15 maggio 2012

Vogliamo anche le rose - Recensione


Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi - Genere: documentario - Italia, Svizzera, 2007

Alina Marazzi ricostruisce, attraverso la tecnica del "found footage" (cioè il montaggio di filmati già esistenti) un bel documentario sulla condizione della donna, a partire dal movimento femminista degli anni Settanta. 
Non ho mai visto troppo di buon occhio i documentari sul femminismo perché molto spesso si riducono a una sterile riproposizione dei medesimi argomenti, senza sforzarsi di accendere su di essi una luce che sia anche vagamente problematizzante, come a dire "viva il '68", il che è anche giusto... ma il Sessantotto ormai è passato e bisogna guardare al presente, senza dimenticare le radici della questione.

Di solito si dice che "il documentarista restituisce una fotografia" di qualcosa. Alina Marazzi si spinge ben oltre fornendoci un racconto delle questioni che hanno portato alla genesi e al successivo sviluppo della questione femminista ma senza fermarsi a una mera (e piuttosto inutile) contemplazione degli eventi. Sarebbe stato certo facile dal momento che la Marazzi non produce ma monta.
La sfida di questo lavoro è quindi proprio quella di spingere lo sguardo autoriale oltre la superficie, increspandola, andando al di là delle parole e delle immagini per consegnare loro un senso ulteriore, che anche oggi possa essere utile e attuale. 
Rifuggendo con grande abilità dai soliti stereotipi e dal pericolo della banalità e sfruttando saggiamente documenti d'epoca visivi e sonori, Alina Marazzi ci restituisce quindi una rappresentazione coerente, interessante, credibile e problematica della questione femminile in Italia.

Ciò che emerge soprattutto da questo lavoro è l'ardimento di alcune scelte linguistiche, che da una parte elevano il livello del film spingendo alla ricerca di una pura estetica (che però è anche etica, dato l'argomento impegnato) e dall'altra spronano l'occhio e lo sguardo dello spettatore a procedere oltre la superficie, interrogandosi non solo sugli eventi "diegetici" ma soprattutto sul proprio ruolo, su come noi spettatori del 2012 guardiamo questo documentario e il suo oggetto d'indagine, vale a dire la donna.
Un esempio su tutti: durante una breve sequenza Alina Marazzi utilizza un pezzo di un film dove si capisce molto presto che sta per consumarsi un atto sessuale. La regista lascia allo spettatore appena il tempo di rendersi conto di questo fatto, gli lascia appena la possibilità di accendere la propria immaginazione e poi, subito, toglie l'immagine, lasciando l'audio di un quasi amplesso su uno sfondo completamente nero. Lo spettatore è spiazzato, il suo desiderio è frustrato e quindi non può che rivolgersi a sé stesso: in questo respiro dell'immagine (che si ritrova in altre sequenze) spettatore e regista sono parte di un processo creativo e condividono un tempo processuale e una sensibilità unica.

Un bel lavoro quello della regista italo-svizzera, che andrebbe valorizzato maggiormente in virtù del suo impegno sociale e della bellezza di alcune soluzioni

VOTO: 8/10

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