mercoledì 9 maggio 2012

Il bandito delle undici - Recensione


Il bandito delle undici di Jean-Luc Godard - Genere: drammatico - Francia, Italia, 1965

Abbandonati moglie e figli e sbarazzatosi di un cadavere, Ferdinand-Pierrot fugge con Marianne, ne viene tradito, la uccide e si fa saltare in aria.

Una trama sterile, quasi imbarazzante per la sua povertà. A fronte, però, un film assolutamente geniale, innovativo e travolgente, che ben riflette un preciso clima culturale in primis e cinematografico in secundis. Sono gli anni che preludono alla contestazione, finita l'era degli eroi hollwoodiani, il cinema europeo si svecchia e si rinnova. E' la nascita del cinema moderno, cinema dello sguardo, che esige spettatori attenti e non più anestetizzati a pellicole-favola. 
Godard è uno dei massimi interpreti di questa svolta e torna sul luogo del delitto dopo Fino all'ultimo respiro e sfida di nuovo il genere gangster-story, così in voga nell'America classica. 

In realtà di gangster qui c'è poco o nulla: forse ce ne sono i presupposti fondamentali, ma non la struttura e le intenzioni. Muoiono delle persone, ma la loro morte non viene mai mostrata; succedono delle cose che lo spettatore non conosce (gran parte del passato dei due protagonisti rimane ignoto) e la maggior parte delle azioni sono vuote, prive di un senso narrativo proprio, sono inutili e non fanno progredire la trama (che pure, come si è detto, pare non averne bisogno).
E' un cinema di sentimenti e di parole, non di azioni, un cinema di vuoti e di silenzi, che come sempre si installa sul rapporto d'amore tutto particolare dei due protagonisti, splendidi interpreti.

Tecnicamente, l'anti-narrazione allo stato puro. I mezzi linguistici usati da Godard sono i più svariati: organizzazione della storia come un romanzo, o un saggio; citazioni colte letterarie realizzate da Belmondo nella sua veste di divo-filosofo; inserti pseudo-musicali assolutamente inutili dal punto di vista narrativo; scompaginamento dell'illusione di realtà con un montaggio non trasparente e una nota di asincronismo sonoro, senza considerare le frequenti apostrofi dirette allo spettatore.
E' cinema dello sguardo, cinema da guardare e con cui eventualmente immedesimarsi, ma a condizione di riconoscerne la falsità, la natura mediante.

Ci sarebbe molto altro da scrivere in merito, ma un capolavoro del genere va sicuramente visto per essere apprezzato al meglio.

VOTO: 10/10

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