mercoledì 30 maggio 2012

Strade perdute- Recensione


Strade perdute di David Lynch - Genere: Thriller - USA, 1996

Fred, sassofonista di Los Angeles geloso della bruna moglie Renee, riceve una videocassetta dove lo si vede accanto al corpo della consorte assassinata. Lo arrestano per uxoricidio, ma presto nella sua cella le guardie trovano, al suo posto, il giovane meccanico Pete  che, scarcerato, torna al lavoro in officina e si fa paladino di Alice, pupa bionda di un gangster.

Considerato, a torto o a ragione, come uno degli imprescindibili capolavori della storia del cinema, Lost Highways rappresenta senza dubbio appieno la mentalità e lo stile del suo regista, il visionario Lynch ed è senza dubbio uno dei lavori più complessi che mi sia mai capitato di vedere da un punto di vista narrativo. Già a un primo livello di lettura la struttura della vicenda appare complessa, contorta ed ellittica, proponendo un sistema di ritorni che si fa sempre più evidente e perturbante nel prosieguo della vicenda. Così come il protagonista (o meglio i due protagonisti) si confondono fra loro e sono a loro volta confusi, lo spettatore intraprende un percorso nei meandri di una costruzione labirintica e pensata appositamente per imbrigliarlo in una spirale senza via di uscita. 
Quello che Lynch vuole fare è farci uscire dal nostro abituale rapporto con le immagini, farci intraprendere una strada perduta, appunto, perché sterrata e incerta, dove la navigazione si svolge a vista ed è affidata alla sensibilità del pilota più che ai cartelli stradali. Ecco, allo stesso modo il corpo del film si rifrange in una molteplicità di piani che sfumano l'uno dentro l'altro, impedendone una lettura chiara e definita e auspicando una decriptazione psicologica ad opera del singolo fruitore.

Come nel forse (ingiustamente?) più celebre Donnie Darko, che pure si basa sulla moltiplicazione dell'universo diegetico, qui i piani si contaminano sempre di più, ma mentre nel film culto degli anni Duemila le ambiguità si ricompongono in un finale che ancorché non conciliante appare parzialmente risolutivo, qui le perplessità rimangono immutate dopo poco più di due ore di film. 
Chi è davvero l'uomo del mistero, personaggio affascinante e perturbante almeno quanto il Soave di Blue Velvet?

Da un punto di vista tecnico-stilistico siamo ovviamente ad altissimi livelli per la qualità delle immagini anche da un punto di vista fotografico e plastico; troneggiano come sempre in Lynch gli oggetti stranianti, sui quali la macchina da presa indirizza con insistenza la nostra attenzione. I personaggi si caricano come da copione di un fascino morboso, che qui è ancora più accentuato dalla difficoltà di dirimere i nodi di Gordio che affliggono un tessuto narrativo quanto mai franoso. 
Sicuramente un'ottima prova di un David Lynch assolutamente visionario, ma probabilmente un film troppo complicato per essere apprezzato da tutti, al contrario di un Velluto blu, senza dubbio di più facile esegesi. 

VOTO: 8/10

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