giovedì 17 maggio 2012

La grande abbuffata - Recensione


La grande abbuffata di Marco Ferreri - Genere: grottesco - Italia, Francia, 1973

Quattro uomini piuttosto benestanti si chiudono in una bella casa nei sobborghi cittadini per consumare un enorme pasto di ottima qualità, con l'unico scopo di morire.

Marco Ferreri è senza dubbio (insieme a Pier Paolo Pasolini) uno dei registi più controtendenza, particolari e volutamente anticonvenzionali che l'Italia abbia mai avuto. Casi rari, che ormai sembrano aver abbandonato queste terre. Già nello splendido Dillinger è morto il regista, scomparso a Parigi nel 1997, aveva fatto esplodere con tutta la violenza possibile e immaginabile la bomba della critica sociale, qui riproposta e se possibile anche con maggior violenza. Ferreri raduna per questa fatica un cast d'eccezione, con un Mastroianni rubacuori, quasi l'altra faccia de La dolce vita felliniana e un Tognazzi veramente grottesco e pasoliniano nelle sua azioni, solo per fare qualche nome. 

Il film di per sé non ha una trama, non segue le portate di un pranzo tipo, anche se l'idea originale è quella. Presto la bellezza compositiva dei primi piatti cede il posto a un tripudio di cibi di ogni sorta, consumati in ogni stanza della casa, che diventa un enorme bordello, quasi una statua all'ingordigia rapace dell'uomo. C'è molto de L'angelo sterminatore di Bunuel in questo film, a partire dalla volontà di decostruire l'istituto della società borghese e benpensante. C'è almeno altrettanto di pasoliniano, in particolare faccio riferimento al capolavoro Salò che era forse più incentrato sui temi del potere e della bio-politica. 

E' un viaggio autodistruttivo, una parabola dell'autoannientamento umano che passa non a caso attraverso quelle azioni che secondo i teorici del comportamento (e della critica alla società occidentale), come Marcell Mauss che maggiormente risentono di una regolamentazione, vale a dire il cibo e tutte le attività che concernono gli orifizi (sesso, escrezioni etc.). E' proprio qui che emerge una memoria pasoliniana, con il celebre Girone della Merda che non può non tornare in mente. 

In generale un film difficile da descrivere, un enorme banchetto ai vizi umani, con una volontà di critica sociale che però non è mai pura demagogia antiborghese, anzi spesso si risolve in un puro gioco grottesco di corpi, cibo, sesso e liquidi, fino alla bellissima sequenza finale, dove Tognazzi si uccide mangiando il pasticcio di carne da lui stesso cucinato a forma di Santa Maria del Fiore.
Certamente, un film che mal si presta ad essere guardato prima o dopo i pasti.

VOTO: 7.50/10

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