lunedì 4 novembre 2013

Perfect Blue



Perfect Blue di Satoshi Kon - Genere: animazione - Giappone, 1988

Il 1988 è senza dubbio l'anno di grazia per l'animazione giapponese, il momento in cui una forma cinematografica e/o televisiva come l'anime supera per la prima volta in maniera consistente le barriere geografiche e politiche e trova un concreto diritto di cittadinanza sul mercato occidentale. A questo rinnovamento, di importanza storica capitale per gli sviluppi successivi del cinema d'animazione e non, hanno concorso senza dubbio il meraviglioso Akira di Katsushiro Otomo e il particolarissimo Perfect Blue, di genere completamente diverso ma non per questo meno ricercato sotto molti punti di vista. Il grande pregio di questi prodotti sta nell'aver fatto capire per la prima volta come un certo cinema di animazione possa e debba rientrare all'interno dei canoni della settima arte, uscendo dal limbo indistinto in cui - purtroppo - ancora oggi è da molti collocato.

Cosa più unica che rara, anche attualmente, Perfect Blue è - da un punto di vista narrativo - la traduzione animata di quello che potrebbe essere considerato un ottimo film thriller a tinte psicologiche. Il paragone non deve sembrare azzardato, dal momento che il film pullula di riferimenti al genere e in particolare a Il silenzio degli innocenti che all'epoca non esisteva ancora come film (la pellicola con Hopkins è del 1991), ma si potrebbe ritenere che Satoshi Kon possa aver conosciuto il romanzo di Harris (uscito proprio nell'88). Entro una cornice narrativa fortemente connotata, si inserisce - dopo un' ouverture piuttosto prevedibile - il personalissimo stile del regista che ricorda per molti aspetti quello di David Lynch, soprattutto per il taglio delle inquadrature e per un certo gusto nei confronti del dettaglio quotidiano riletto in chiave perturbante . In aggiunta è sorprendente notare come il progressivo frantumarsi della linearità narrativa a favore di una struttura irregolare assimilabile per certi tratti a un nastro di Moebius, paia preludere alle più celebri realizzazioni del cineasta americano (Strade perdute su tutti). 

Il lavoro di Kon mette al centro, con uno sguardo pionieristico su una società ancora non lobotomizzata dall'imperversare della medialità digitale, le conseguenze che lo strapotere dell'immagine televisiva e più in generale mediata ha sullo statuto delle rappresentazioni. Così la storia della protagonista rimane lungamente sospesa e lo spettatore non riesce a comprendere i motivi per cui la sua immagine (unica vera dimensione di esistenza?) pare aver preso corpo e aver cominciato a godere di un diritto di cittadinanza esclusivo. La risoluzione conclusiva dell'enigma che sostanzia la narrazione è ben lungi dall'avere una natura puramente conciliante: le problematiche sollevate dalla visione di Perfect Blue, soprattutto per uno spettatore attuale, rimangono attualissime e hanno delle implicazioni etiche che è difficile sottovalutare. 

Perfect Blue è un film narrativamente piacevole, molto interessante sotto il profilo ideale e contenutistico che - se confrontato con il coevo Akira - denuncia però una qualità disegnativa non certo delle migliori. Il grande lascito di questo lavoro (fra gli altri) sta però proprio nella sua capacità di affermare con forza la propria natura cinematografica, anche a fronte della presenza della tecnica d'animazione.

VOTO: 7/10 

1 commento:

  1. Un esordio coi controcazzi! Quel matto di Kon ha imbastito uni dei film più angoscianti che io abbia mai visto!

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