martedì 20 novembre 2012

Gut - Recensione


Gut (trad. it. Visceri) di Elias - Genere: thriller - USA, 2012

Manca qualcosa nella vita di Tom: il suo matrimonio non è più brillante come un tempo ed inizia a trascinarsi per inerzia; la sua vita lavorativa è mediocre e gli è impossibile slegarsi dall'influenza di Dan, ingombrante amico d'infanzia ancora ancorato al ricordo dei bei tempi andati. La sua vita cambia radicalmente quando Dan decide, quasi per gioco, di mostrargli un video che ha ordinato su internet.

E' la prima volta che mi capita di imbatterti in Elias, regista americano il cui nome mi è risultato subito attraente. In questa sua opera egli imposta un thriller di matrice confusiva e straniante che si distanzia (fortunatamente) dalla gran parte delle produzioni di genere degli ultimi anni, soprattutto in ambito americano. Con questo non voglio dire che si tratti di una novità assoluta, cosa che il film è ben lungi dall'essere, ma che quantomeno inserisce dentro un meccanismo narrativo ormai impolverato degli elementi che potrebbero essere interessanti se indagati con la dovuta profondità. Sì, perché il problema di Gut è proprio questo, dal momento che si limita ad affastellare in sequenza una serie di elementi anche molto interessanti senza preoccuparsi di creare una connessione sinergica fra gli stessi. Il risultato è un prodotto piatto e nel complesso piuttosto insipido.

Il problema è primariamente di ritmo: tutto è dilatato all'inverosimile, l'attenzione maniacale al dettaglio dell'azione finisce con il creare una composizione decisamente troppo pesante; nonostante la durata standard (un'ora e trenta circa), il lavoro risulta decisamente faticoso, soprattutto perché non crea un interesse di partenza a mio avviso sufficiente. Ad un'analisi narratologica, poi, il tutto appare come un enorme pasticcio, frutto di indecisioni che sono forse venute al pettine troppo tardi. L'introduzione alla vicenda è smodatamente lunga e, in aggiunta, non si da sufficiente peso (in apertura) al malessere psicologico di Tom, che dovrebbe essere la "conditio sine qua non" alla comprensione generale del dettato visivo: soltanto con un fine lavoro di sartoria spettatoriale è possibile decodificare il corretto evolvere degli eventi, ma questo è uno sforzo decisamente eccessivo per un film di questo genere.

La confusione generale si protrae decisamente troppo a lungo, tanto che perfino il finale non appare chiarificatore e, anzi, consegna tutto a una fastidiosa sospensione. Questo da un lato potrebbe essere un vantaggio, segnalando la volontà registica di lasciare aperte più soluzioni, ma dall'altro ingenera una preoccupante perplessità nello spettatore, che non è in grado di comprendere fino in fondo la vicenda. Questo è particolarmente problematico in un film come questo, che si basa su continui rilanci, sul continuo mettere in discussione l'idea che lo spettatore si è fatto: non chiudere il cerchio significa lasciare un senso di vuoto decisamente troppo ampio da colmare.

Tecnicamente, a parte il montaggio (ovviamente) narrativo che domina incontrastato, dobbiamo necessariamente segnalare la presenza di alcune belle inquadrature giocate sui toni del blu che, memori forse dell'omonimo periodo di Picasso, conferiscono alle figure l'aria di un'umanità vinta da sé stessa e prostrata dalle sue fatiche. A ciò si aggiungono delle scelte musicali decisamente riuscite, con una netta predilizione per i ritmi dispari, frammentati e incongruenti, che rifuggono continuamente il concetto stesso di armonia.

Nel complesso un film che avrebbe molto da dire ma che, forse per un peccato d'orgoglio, pretende di giocare troppo con uno spettatore a cui esso stesso si rifiuta di fornire gli adeguati strumenti di comprensione. 
VOTO: 5/10 

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