Song of silence di Chen Zhuo - Genere: drammatico - Cina, 2011
Che
il cinema asiatico – e più in generale il cinema non occidentale – abbia molto
da insegnare sia per quanto riguarda i temi sia per il modo di metterli in
scena, è ormai un dato abbastanza scontato. Per averne un’ulteriore conferma è
sufficiente considerare l’opera prima del cinese Chen Zhuo, questo delicato Song of silence, che come spesso accade
nel cinema orientale è una realtà di assenze, di silenzi e di mancanze.
L’afonia
della storia è prima di tutto narrativa e si concretizza nella giovane protagonista
Jing, sordomuta, che è suo malgrado spettatrice passiva di una vicenda cui,
almeno inizialmente, non può prendere parte. È una figlia non amata che lascia
che il mondo le scorra attorno. Soltanto quando esce in barca con il suo
giovane zio riesce ad assumere spessore e protagonismo; non è un caso che siano
proprio questi brani, collocati specularmente all’inizio e alla fine del film,
ad essere anche i più eccentrici dal punto di vista della composizione
dell’immagine: il punto di ripresa è scelto con cura per accentuare al massimo
l’effetto estetico e per sottolineare la presenza di un divenire narrativo che
si costruisce in assenza. L’incapacità di Jing di parlare, diventa in questi
casi la nostra incapacità di vedere.
In
mezzo a questi due estremi lirici, colmi fino al midollo di una gentile
eversività poetica, si sviluppa la storia della giovane ragazza, mandata a
vivere con il padre e la sua ragazza, cantante. Nel mezzo il film perde un po’
di corpo, si ripiega su sé stesso diventando nient’altro che un esercizio
accademico senza troppa originalità. Con ciò non s’intende sminuire la perfetta
impostazione della fotografia e la grande sicurezza con cui Chen Zhuo dirige il
suo e il nostro sguardo sulla scena; da un punto di vista narrativo, però, la storia
si fa lenta e a tratti quasi noiosa. È doveroso notare tutte queste
particolarità proprio perché il regista cinese, esordiente, nel magmatico e
colorato mondo di una cinematografia in continua evoluzione, propone un’opera
intima ma che non ha ancora le caratteristiche per raggiungere gli accenni di
disarmante e minimale lirismo che sembra promettere inizialmente.
La
pellicola in fin dei conti non spiace e va comunque apprezzata per alcune sue
indubbie qualità. Un’opera prima decisamente promettente, insomma al di là dei
piccoli aggiustamenti che si faranno col tempo. Varrebbe la pena di prendere in
considerazione il fatto che un simile livello spesso non viene raggiunto dai
registi nostrani neppure dopo moltissimi lavori; a loro discolpa si potrebbe dire
che la sensibilità occidentale è diversa, più immediata, ma sarebbe un vano
tentativo di inzuccherare una medicina che meriterebbe di essere presa in tutta
la sua acredine.
VOTO: 6/10
VOTO: 6/10
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